Raul Gardini ultimo imperatore di Bisanzio, fra imprese e visioni

Nel trentennale della morte una riflessione su opere e “illuminazioni” dell’imprenditore che voleva riportare Ravenna al rango di capitale. E la necessità di curare il suo lascito, a partire dallo stravolto Parco delle Arti e dello Sport

Moro di Venezia: Raul Gardini ePaul Cayard

Raul Gardini e Paul Cayard all’American’s Cup 1992. (foto di Carlo Borlenghi). Sull’impresa velistica del Moro di Venezia è aperta a Palazzo Rasponi delle Teste di Ravenna una mostra documentaria fino al 26 settembre.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento dell’artista e autrice ravennate Mariellia Busi De Logu dedicato alla figura e ai progetti di Raul Gardini, a trent’anni dalla fine del suo “sogno” imprenditoriale e in occasione dell’allestimento a Palazzo Rasponi delle Teste di Ravenna di una mostra documentaria sulle imprese velistiche del del Moro di Venezia.
In fondo all’articolo anche una gallery di immagini di Sara Maioli sullo stato in cui versa attualmente il “suo” Parco delle Arti e dello Sport – Pala De André.

Nel trentennale della tragica scomparsa di Raul Gardini, Ravenna lo sta ricordando con molti eventi tutti rivolti a metterne in luce visioni, progetti e pensiero. In questi anni stiamo assistendo ad un aumentato interesse per questa figura di imprenditore illuminato, però la sua azione potente e innovatrice sfugge ancora. Eppure, nonostante la ricchezza delle pubblicazioni, rimane la sensazione del non detto, di quel qualcosa che delimita la profondità di una inclinazione che in lui è misura di altezza. Un ribaltamento che traccia la strada come molteplicità di eventi collegati tra di loro, privi di separazione. Una via circolare dove, per tentare di comprenderne l’insieme di azioni, è possibile partire da qualsiasi tempo e da qualsiasi luogo della sua storia.

Il mio è il mondo dell’arte e parto da qui.
Ci sono città d’arte prigioniere del passato e città d’arte aperte verso il futuro; quest’ultima era la visione della sua città e il suo fu, dopo l’impero di Bisanzio, il nuovo periodo aureo di Ravenna. Nei primi momenti della nascita di “Ravenna Festival” disse a Cristina Mazzavillani Muti che i più grandi direttori e le più grandi orchestre dovevano venire qui perché Ravenna ha le basiliche più belle del mondo, perciò, «deve aprirsi a tanta bellezza e creare ricchezza».

Ma l’opera che segnala l’attenzione e la cura con la quale desiderava riportare Ravenna, la sua città, alla grandezza di Capitale, è il Palazzo delle Arti e dello Sport, ovvero il cosiddetto Pala De André. Anche qui Raul Gardini si allontana dal mecenatismo degli altri gruppi imprenditoriali. Se ne va per conto suo e traccia la via delle affinità elettive tra committente, architetti, artisti, spazio architettonico, parco cittadino “aperto alla città”, opere musive e infine Il Grande Ferro R di Burri, che si eleva a sacra conversazione tra i diversi luoghi dell’intero progetto.

La visione del sacro è presente nell’opera intera e per comprenderne dettagliatamente gli elementi che lo creano, riporto ora un brano estrapolato dall’articolo dello scrittore e studioso Cesare Albertano (Il grande equivocoR, 1 ottobre 2021, meer.com)
«Il progetto nel suo insieme e la sua veloce realizzazione hanno del grandioso: i propilei d’accesso, in laterizio, collocati lungo il lato occidentale, fronteggiano un grande piazzale, esteso fino al lato opposto, dove spicca la mole rosseggiante di Grande Ferro R. A fianco dei propilei stanno le fontane in travertino disegnate da Ettore Sordini, che fungono anche da vasche per la riserva idrica antincendio. L’area a Nord del piazzale è occupata dal grande palazzo, mentre quella meridionale è lasciata libera per l’allestimento di manifestazioni all’aperto. L’accesso al palazzo – il cui ingresso è scandito dai riquadri in mosaico della Montessori/Notturni – è mediato dal cosiddetto Danteum, una sorta di tempietto formato da una selva di pilastri e colonne, cento al pari dei canti della Commedia, di diversi materiali: le più esterne in pietra a vista, nove in ferro di colore rosso (rappresentanti l’Inferno), nove in marmo di Carrara (il Purgatorio) e nove di cristallo (il Paradiso). Si tratta del più importante monumento alle cantiche dantesche di Ravenna, spesso dimenticato dietro ad un cancello chiuso».
Da questo particolare si comprende la risposta di Ravenna la quale «racchiude in sé qualcosa di inimmaginabile per una città colta e civile che stenta a riconoscersi nell’oscillazione della sua Grande Bellezza tra passato e presente e a trovare una sua via consapevole e lungimirante».

Tutta l’equipe che ha progettato e realizzato il cosiddetto Pala De André ha pensato ad una città che cresce e si sviluppa come espressione di una coscienza collettiva, consapevole di un bene culturale assai complesso, dato che rappresenta la qualità dei luoghi che quotidianamente viviamo. Ma così non è stato. Così non è, anzi Ravenna, apparentemente distratta da altro, lascia che il cemento conquisti in disordine sparso, costa e terraferma e ignora di avere in sé patrimoni del passato e del presente da comprendere e conservare.

Alberto Burri Grande Ferro R Alberto Burri, una mostra al Mar Ravenna dal 13 ottobre

Alberto Burri, “Grande Ferro R” (1990, Ravenna)

Qui, nel tempo, l’ignoranza diventa sempre più cupa e offensiva perché cancella la Grande Bellezza di opere contemporanee presenti in città e nel Palazzo delle Arti e dello Sport. In questo senso il nuovo Palazzetto dello Sport in fase di realizzazione proprio all’interno del complesso del Pala De André, in quell’area nata per manifestazioni all’aperto, risuona come un insulto alle e agli abitanti di Ravenna. Questa è la ragione della notte di oscurità culturale, ambientale e artistica che vive la città e insieme ad essa la perdita del sacro che nel Grande Ferro R aveva la sua massima espressione. Con qualche eccezione, però rimangono episodi talmente sradicati dal loro contesto che sembrano realizzati per qualsiasi luogo.

Ma ritorno all’Ultimo Imperatore di Bisanzio, a colui che voleva aprire Ravenna verso il futuro. Il microcosmo così armonico e ben disposto presente, in origine, nel complesso del Pala De André, lo ritroviamo nel macrocosmo della sua visione d’imprenditore illuminato.
Illuminato perché attento alle metamorfosi della natura, ai suoi profumi, alle cose e alle creature di questa terra «Come mostra il meraviglioso processo della fotosintesi, l’agricoltura è chimica e la chimica verde è la prossima rivoluzione che si svilupperà in modo esponenziale”. (Articolo su “Mondo Economico”, “Agrodistribution” e “Il Sole 24 Ore”, 1989). Anche qui la passione per il territorio ravennate, che si snoda tra la campagna e il mare, viene proiettata nell’azione industriale a livello globale: «Lo sviluppo economico sarà globale o non sarà. E funzionerà solo a condizione che anche la soluzione dei problemi crei ricchezza. Altrimenti la società diventa asfittica, perde futuro. Perciò bisogna innescare uno sviluppo economico che affronti positivamente problemi globali, come la fame nel mondo e l’inquinamento dell’ambiente. La fase di sfruttamento delle risorse energetiche limitate e inquinanti sta toccando il tetto: continuare su questa strada significa consumare il pianeta, avvelenarlo, rendere impossibile la soluzione dei problemi» (Intervista per il libro, A modo mio, Mondadori, 1991).

Pala De André Cupola E Stand

Cupola del Pala De André con stand (foto Sara Maioli)

L’attenzione e la cura nel riportare Ravenna alla grandezza di una Capitale la ritroviamo quindi moltiplicata in tutta la sua attività. Non sopporta gli sviluppi settoriali, ma unisce tutte le forze in campo; agricoltura, chimica, scienza, filosofia, umanesimo, arte, come, nella realizzazione del Pala De André, aveva riunito in perfetta armonia la complessità delle relazioni: «Sono convinto che ci troviamo all’alba di una nuova agricoltura. Gli interessi del coltivatore diretto del farmer della Corn Belt e dell’agricoltore africano che contende palmo a palmo la terra del deserto sono, nel lungo periodo, convergenti. Se gli studiosi, i produttori agricoli, gli industriali, se ognuno di noi saprà fare la propria parte, si aprirà realmente una nuova frontiera per l’agro-bio-industria» (Lectio magistralis, Università di Bologna, 1987).

Per Raul Gardini, il mondo deve essere una scena condivisa. E realizza tutto questo con uno sguardo ben disposto che non perde mai di vista il benessere del pianeta intero: «Nuove tecnologie per la produzione di materiali biodegradabili e lo sviluppo di nuove piante per la produzione di alimenti ed energia pulita. E per energia pulita intendo con la minima emissione di CO2 da energia fossile. Le istanze degli ambientalisti, che in gran parte condivido, metteranno i giovani di fronte al problema della ristrutturazione dei siti industriali. …Tutto ciò deve avvenire al più presto in uno scenario strategico che il governo italiano e la Commissione di Bruxelles deve delineare. Ciò al fine di consentire agli imprenditori di realizzare gli enormi investimenti che la società civile esige, e che devono essere programmati per evitare la devastante pioggia di investimenti riparatori che non redimeranno mai la vertenza fra industria e ambiente» (Articolo su “Mondo Economico”, “Agrodistribution” e “Il Sole 24 Ore”, 1991)

Ed è qui ciò che crea la differenza tra un imprenditore, anche di larghe vedute e l’Ultimo Imperatore di Bisanzio.

Selezione di un reportage di Sara Maioli sullo stato attuale del Parco delle Arti e dello Sport/Pala De André, affollato dal cantiere del nuovo palasport del Comune, capannoni della fiera Omc e stand della festa dell’Unità

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
CONSAR BILLB 02 – 12 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24