La Casa delle Donne critica la “culla per la vita”: «Ci sono già gli ospedali»

Dal 7 ottobre alla parrocchia del Torrione la struttura che consente a madri in difficoltà di lasciare figli neonati in anonimato, ma si tratta di garanzie possibili anche nelle strutture sanitarie pubbliche: «Comune e Ausl non fanno informazione»

Pexels Vidal Balielo Jr 3376801Dal 7 ottobre nel cortile della parrocchia di Santa Maria del Torrione a Ravenna sarà attiva la “culla per la vita”, un progetto dell’associazione Medici Cattolici Italiani che tramite una raccolta fondi è riuscita a raccogliere i 30mila euro necessari. Si tratta di uno spazio dove madri in difficoltà possono scegliere di lasciare i figli neonati: una serie di dispositivi garantiscono poi l’invio di un allarme al 118 e al reparto di Neonatologia dell’ospedale con l’accensione di una telecamera interna sorvegliata 24 ore su 24 da volontari e dalla parrocchia stessa. Di questo tipo di strutture si parlò molto qualche mese fa dopo che venne utilizzata quella al Policlinico di Milano. Da quando è stata attivata nel 2007, è stata la terza volta.

L’iniziativa di stampo cattolico non piace alla Casa delle Donne, la realtà di Ravenna che riunisce associazioni e soggetti della galassia del femminismo e dell’attenzione particolare alle parità di genere.

«Il massimo della sicurezza per la donna e per chi sta per nascere è garantita solo ed esclusivamente in una struttura ospedaliera pubblica – si legge in un comunicato –. Nel nostro Paese l’anonimato è garantito da un Decreto del Presidente della Repubblica che consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”».

Una volta chiusa la porta esterna a tapparella della culla non sarà più possibile riaprirla dall’esterno. «Invece è un diritto della madre avere un tempo di 10 giorni in cui poter ripensare. Chi lo garantisce? Sempre l’ospedale. La rete di tutela cerca di capire quali sono le condizioni che determinano la rinuncia alla genitorialità e valuta possibili soluzioni».

I promotori, tra cui don Paolo Pasini, sostengono che la culla è pensata soprattutto per le donne straniere, in particolare se prostitute, “che potrebbero essere in pericolo se si scoprisse la loro gravidanza o di donne che non sono nelle condizioni di poter mantenere un figlio”.

«Chi mette maggiormente in pericolo, anche di vita, le donne straniere perlopiù prostitute sono gli uomini perlopiù italiani – scrive la Casa delle Donne –. Inoltre nella nostra città da molti anni è attivo un progetto che prevede azioni di protezione immediata e immediata assistenza sanitaria e consulenza legale alle donne vittime di tratta e grave sfruttamento».

La critica finale è per il Comune e per l’Ausl: «Da almeno 15 anni non fanno campagne di informazione e comunicazione della possibilità di partorire in anonimato e in sicurezza nelle strutture ospedaliere pubbliche».

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