La ginecologa dei “bambini impossibili”, costretta ad “acquistare” ovociti in Spagna

La dottoressa Bartolotti, responsabile del centro di Procreazione Medicalmente Assistita Artebios di Lugo: «Le donne per fare figli hanno bisogno di sentire meno fatica addosso»

Bartolotti

Tra le sfide che l’Italia, assieme ad altri Paesi nel mondo, si trova ad affrontare negli ultimi anni vi è senza dubbio il calo delle nascite, da cui è derivato un inesorabile processo di invecchiamento della popolazione. Perché in Italia si fanno sempre meno figli? E come può la scienza venire incontro alle donne che desiderano diventare madri?

La dottoressa Tiziana Bartolotti, direttrice del centro Demetra di Lugo e responsabile del centro di Procreazione Medicalmente Assistita Artebios, ci ha aiutato a fare chiarezza su questi punti.

Da dove è nata la decisione di fondare il Centro Demetra?
«La materia della riproduzione mi ha sempre appassionato molto. Sono 40 anni che parlo con coppie che cercano bimbi, quelli che chiamo i “bambini impossibili” perché avrebbero potuto anche non arrivare mai, se non ci fossero state le tecniche di fecondazione assistita. Ho studiato medicina all’Università di Bologna e lì mi sono specializzata nel servizio di Fisiopatologia della riproduzione del Sant’Orsola, di cui allora era direttore Carlo Flamini, uno dei padri della fecondazione assistita in Italia. Ho lavorato per circa 30 anni nella ginecologia di Lugo. Nel 2011, per una scelta dettata da bisogni personali, mi sono licenziata dall’ospedale e ho aperto il poliambulatorio Demetra e Artebios, che si occupa di Medicina della riproduzione. Attualmente riceviamo circa 200 coppie all’anno che cercano bimbi».

Quella che lei affronta quotidianamente è una materia piuttosto complessa. Che cosa si intende per procreazione medicalmente assistita?
«Le coppie che non riescono ad avere figli naturalmente seguono percorsi di procreazione medicalmente assistita, cioè si affidano a professionisti competenti che dispongono di laboratori, farmaci e procedure. In realtà, si arriva alla Pma grazie a un’altra specializzazione, che è la Medicina della riproduzione umana. In una prima fase, senza dubbio la più delicata e complessa, ginecologi e andrologi cercano di scoprire perché non arriva la gravidanza. Alcune coppie, poi, riescono ad avere bambini naturalmente, altre devono entrare nei corridoi di Pma».

Può fornirci alcuni dati?
«Le coppie che si rivolgono alla fecondazione assistita in Italia sono all’incirca 60-70 mila. Secondo l’ultimo report del Registro Pma dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2023 sono nati 16.125 bambini contro gli 11.305 mila dell’anno precedente. I bambini della Pma rappresentano circa il 3% nei nati totali italiani, e non è poco».

In che cosa consistono le procedure di procreazione medicalmente assistita?
«Ci sono diversi livelli: un primo è l’inseminazione intrauterina, una procedura molto semplice, ambulatoriale e che non richiede ricoveri. Il secondo livello comprende le procedure extracorporee come Fivet (fecondazione in vitro dove gli spermatozoi fecondano da soli gli ovociti) e Icsi, dove invece l’inseminazione viene eseguita dal biologo. Quest’ultima tecnica è la più diffusa in Italia e nel mondo».

E per quanto riguarda il congelamento degli ovuli?
«Gli studi per il congelamento ovocitario sono iniziati negli anni Duemila. In questo ci ha, per così dire, “aiutato” la legge 40 del 2004, una legge tremenda che ha portato a un oscurantismo scientifico nel nostro Paese. Con quella legge si vietò di congelare gli embrioni, ma da lì noi italiani abbiamo iniziato a congelare le uova, riuscendo a farle sopravvivere. Il congelamento delle uova fu un passo importantissimo perché permise di non sottoporre più le donne a molteplici interventi chirurgici di asportazione degli ovociti. Se non si riusciva ad avere una gravidanza nell’immediato, venivano scongelate le uova della paziente senza doverla operare nuovamente. È stato un enorme passo avanti a difesa della salute delle donne».

La legge 40 del 2004 ha, tra le altre cose, vietato la fecondazione eterologa. Che cosa ha comportato tale divieto?
«La fecondazione eterologa è la fecondazione eseguita con gameti di donatori. Il divieto ha fatto sì che decine di migliaia di coppie fossero costrette ad andare all’estero per riuscire ad avere un figlio, spendendo quantità immense di denaro, fatica e stress. Nel 2014 la Cassazione ha poi deciso di sdoganare la fecondazione eterologa e da allora anche in Italia è possibile procedere con la donazione di gameti (ovociti e spermatozoi). Il problema è trovare i donatori».

Non ce ne sono abbastanza?
«In Italia no, e questo perché la legge prevede che la donazione di gameti sia assolutamente gratuita. Fintanto che si tratta di una donazione di seme è ragionevole, ma la donazione di ovociti da parte di una donna è cosa complessa: si tratta di mettersi a disposizione del centro per settimane, sottoporsi a terapie farmacologiche che possono avere effetti collaterali importanti, e quindi affrontare un intervento chirurgico. Tutto questo senza nemmeno un rimborso per la benzina»

Quindi quali sono le soluzioni?
«Siamo costretti ad “acquistare” gameti dall’estero. Uso il verbo “acquistare” a scopo polemico, perché, sempre per legge, il trattamento deve essere gratuito e quindi i gameti non devono essere commercializzati, ma si è aggirata questa problematica siglando contratti per l’acquisto del servizio di trasporto dei gameti in linea. Nella teoria, quindi, non acquistiamo i gameti, ma solo il loro trasporto. Questo però ci costringe a doverci fidare dell’operato di altri colleghi stranieri: gli ovociti che abbiamo provengono soprattutto dalla Spagna».

E i gameti maschili?
«La donazione di seme è meno diffusa in Italia perché con la Icsi gli uomini possono diventare papà anche se hanno pochissimi spermatozoi. Si sono affinate alcune tecniche di prelievo anche direttamente dai testicoli, quando i gameti non sono presenti nel liquido seminale».

Chi sono solitamente le persone che ricorrono alla Pma? Quali caratteristiche hanno?
«Dipende. In un centro pubblico accedono sia coppie giovani che coppie con donne adulte, ma a livello del Ssn sono stati posti dei limiti di età per l’accesso: l’Emilia-Romagna ha scelto i 46 anni della donna per poter eseguire i trattamenti, in altre regioni il limite è 43 anni. Il problema è che spesso le coppie si scontrano con le liste di attesa, che hanno tempi piuttosto lunghi; nella nostra regione difficilmente sono al di sotto dell’anno. Questo porta a una dilatazione delle tempistiche che spinge alcune coppie, soprattutto quelle più avanti con l’età, a rivolgersi ai centri privati».

Quanto conta il fattore tempo in questo caso?
«È fondamentale. Negli anni di attesa le probabilità della donna di avere un bambino si riducono. In Italia si fanno sempre più cicli con donazione di gameti proprio perché l’età media femminile per la ricerca di un bimbo è molto alta. Nel naturale la media è di 32 anni circa, mentre le coppie che entrano in trattamento hanno una media di età quasi 37 anni per le donne».

Cosa può fare una giovane donna per salvaguardarsi da questo punto di vista?
«Fare prevenzione! Esistono esami molto semplici, come la valutazione della riserva ovarica, che consentono di stabilire qual è il grado di fertilità di una ragazza e per quanto tempo sarà fertile fino anche ad immaginare l’età della menopausa. Questi esami si possono fare già a partire dai 25 anni. Ovviamente a quel punto la ragazza non è obbligata a fare un figlio subito, ma in situazioni particolarmente importanti può decidere di congelare le sue uova. Significa mettere da parte un patrimonio genetico che si preserva negli anni a seguire e quindi avrà la possibilità di avere un figlio anche in caso di menopausa precoce (che colpisce circa il 10% delle donne), evitando di dover ricorrere agli ovociti di una donatrice, una scelta che spesso comporta shock morale, etico e psicologico. È importante garantirsi la possibilità di scegliere, ma di queste cose, purtroppo, si viene a conoscenza solo in un Centro di Medicina della Riproduzione. C’è poca informazione».

E per le coppie?
«Vale lo stesso. Coppie anche giovani, attorno ai 27-30 anni, che hanno idea di cercare un figlio possono richiedere esami specifici come spermiogramma, esami ormonali e lo studio della riserva ovarica per sapere se è tutto a posto. Quello che succede di solito, ahimè, ancora, è che la coppia che fatica a concepire ne parla con un medico di base che li incoraggia ad aspettare. Queste sono condizioni che creano un danno pazzesco, perché sono anni persi. Quando riceviamo infine le coppie, queste sono già stanche di aspettare e possono avere delle aspettative irrealistiche».

L’Italia, assieme a tanti altri paesi nel mondo, è colpita dalla denatalità. A che cosa è dovuta secondo lei?
«La denatalità ha che fare con un modello di vita diverso rispetto a quello degli anni Sessanta, e il ruolo stesso della donna è cambiato. Il problema è della denatalità è un problema mondiale; l’aumento dell’aspettativa di vita un po’ ovunque, tranne i paesi come l’Africa, ha fatto sì che slittasse in avanti anche la ricerca di un figlio. È anche vero che alle donne italiane, in particolare, vengono fatti molti sgambetti da sempre. Il primo è nella vita famigliare: con l‘emancipazione femminile non è stata raggiunta un’eguale divisone dei compiti tra uomo e donna. Quest’ultima si è trovata ad assumere su di sé, oltre al lavoro, anche la gestione della casa e dei figli, ma le donne per far figli hanno bisogno di sentirsi meno fatica addosso. Molte mie pazienti mi parlano di mobbing al rientro dal lavoro dopo aver partorito. Sono racconti che fanno male. Deve essere riconosciuto maggior rispetto alle donne che lavorano e desiderano fare figli, come avviene già in Nord Europa. Bastano accorgimenti minimi, come la presenza di fasciatoi nei locali pubblici o le carrozzine nei supermercati. L’Oms ci ha già disegnato il nostro futuro: nei prossimi quattro decenni avremo un calo di 12 milioni di persone. Questo porterà a una minore sostenibilità fiscale, a una minore assistenza sanitaria, a una crescita economica ridotta e a un minor benessere. Se non capiamo cha fare figli è qualcosa di essenziale per non morire, il nostro Paese è destinato a essere assolutamente irrilevante da qui a 40 anni».

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