«Visitare Auschwitz è vitale per dare forma a storie e numeri dell’olocausto»

Una classe quinta del liceo Alighieri di Ravenna è stata invitata dal ministero dell’Istruzione per un viaggio nei luoghi della Shoah. La testimonianza di uno studente: «Una domanda resta senza risposta: perché?»

Pubblichiamo la testimonianza di uno studente del liceo Dante Alighieri di Ravenna che ha partecipato all’edizione 2024 del “Viaggio della Memoria” e che ha fatto parte anche della delegazione di ragazzi e ragazze che ieri, 26 gennaio, sono stati accolti al Quirinale dal presidente della Repubblica.

Ernesto Moia Studente Tg2Lo chiamano il viaggio della memoria e di sicuro per tutti noi che abbiamo partecipato resterà un ricordo indelebile. Tra il 21 e il 22 gennaio la nostra classe, la 5AES del liceo economico-sociale dell’istituto Dante Alighieri di Ravenna, è stata in visita a Cracovia e ai campi di lavoro e sterminio Auschwitz-Birkenau.

Siamo stati invitati dal ministero dell’Istruzione a partecipare all’iniziativa dopo essere stati selezionati, insieme ad altre quattro classi in Italia, per un concorso che prevedeva la realizzazione di un video da cinque minuti sulla Shoah e sulla memoria dell’olocausto (è visibile in fondo alla pagina). Ad accompagnarci le professoresse Enrica Brina (a cui dobbiamo la partecipazione) e Antonella Battaglia. Il viaggio è stato inoltre seguito da diversi telegiornali come Tg1, Tg2, Sky e Rainews. Alla sinagoga a Cracovia e ad Auschwitz era con noi anche il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara.

Il viaggio è iniziato con Cracovia, la passeggiata guidata attraverso stare miasto (la città vecchia), la visita delle sue piazze più celebri e le (parecchie) chiese di varie epoche, cattoliche e protestanti. Una città che mi ha ricordato Praga come struttura, colorata, con i tram e molto verde, ma meno americana, senza Kfc, Starbucks o Nike in piazza centrale. Poi il ghetto ebraico, grande quasi quanto il centro. Siamo partiti dalla piazza delle 70 sedie, a rappresentare gli eroi del ghetto, con storie di oppressione, deportazione e morte.

Un dato mi ha affascinato molto, tra quelli enunciati dal professor Andrea Bienati, nostra guida per tutto il viaggio: nel ghetto si pubblicavano 35 quotidiani. Il giornalismo come resistenza. Attraverso il percorso che ha toccato tutti i punti più importanti ho avuto modo di poter seriamente capire cosa avevo letto nei libri o visto nei film, e secondo me è questo lo scopo principale del viaggio, completare la memoria, solidificarla e far sì che rimanga.

Il mattino seguente, 22 gennaio, siamo partiti presto, direzione Oswiecim, il nome polacco della cittadina che, nei suoi pressi, ha ospitato la costruzione del campo di lavoro e sterminio Auschwitz-Birkenau.

La visita comincia a Birkenau, si entra passando sotto la celebre torretta di controllo dove arrivavano i binari con i treni che trainavano carri bestiame. Il campo è grande quasi due km quadrati e la struttura è semplicemente perfetta, di un’efficienza terrificante, i binari che arrivano nel mezzo del campo e i detenuti che scendono e si dirigono verso la selva di baracche. Si capisce perfettamente come sia stato possibile costruirne così tanti e in così poco tempo, di campi, che si compongono di decine e decine, se non centinaia, di piccoli edici di mattone cotto con impalcature di legno al loro interno; i forni e le camere a Zyklon B erano strutture prefabbricate da aziende esterne a cui il Reich appaltava i contratti edili. Non ci sono impianti elettrici, idrici o per il metano.

La sensazione non appena si varca quel cancello è indescrivibile. Disorientamento, angoscia, rimpicciolimento, agorafobia sono alcune parole che mi aiutano ad inquadrare vagamente ciò che si prova. In un istante anni di numeri e dati imparati a memoria, a volte senza nemmeno distinguere il campo di lavoro da quello di sterminio: ad Auschwitz sono morte più di un milione di persone, Auschwitz è grande 1,7 km quadrati, Auschwitz è arrivato ad avere contemporaneamente centomila deportati. Numeri che ti travolgono e così capisci realmente di cosa si sta parlando, di quali dimensioni si sta parlando, ed è semplicemente straziante.

Durante la visita faceva un gran freddo, la neve e il ghiaccio sotto i piedi scricchiolavano sonoramente e il vento era molto pesante. Noi eravamo vestiti con pesanti giubbotti, abbigliamento termico e scarpe in Goretex, ma cosa doveva aver provato chi quel campo lo percorreva con addosso vesti stracciate e scarpe forate.

La visita è proseguita dopo pranzo ad Auschwitz, il campo di lavoro e concentramento. Le dimensioni erano ridotte e le strutture e i dormitori più complessi delle baracche di Birkenau, la celebre insegna Arbeit macht frei ormai non necessita più di traduzioni o spiegazioni.

Lo shock qui è all’interno. Entrando nei dormitori quantità immense di scarpe, pentole, valigie, protesi, capelli, nell’ordine delle tonnellate. Sono stati anche riprodotti alcuni disegni dei bambini deportati sui muri, un treno, una pentola come forziere del tesoro, un campo di margherite, una serie di graziose casette disposte in file ordinate con a fianco dei binari.

Mentirei se dicessi che non ero molto provato alla fine. Ma mentirei anche se dicessi che non è, soprattutto per la mia generazione e per il momento storico che stiamo vivendo con guerre che si consumano una dopo l’altra, vitale vedere questi posti, vedere cosa è stato, dare forma alle storie e ai numeri che si sono sentiti raccontare. Una sola domanda rimane senza risposta dopo questo viaggio: perché?

Ernesto Moia, studente del liceo Alighieri di Ravenna

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