Il rifiuto del cibo e il ricovero a 16 anni. I genitori: «Era diventata un’altra»

«L’anoressia le ha tolto la luce dagli occhi. Ora sta bene, ma non sappiamo quando potrà tornare a casa»

Anoressia Bilancia

«È una ragazza dolcissima, sensibilissima e fragilissima. Questa sensibilità le è stata fatale». Mamma Sara (nome di fantasia) descrive così sua figlia minore, 17 anni, ricoverata da sei mesi in un centro per la cura dei disturbi alimentari in Emilia.

È venuta al nostro appuntamento accompagnata dal marito, carica di un’emozione dichiarata anche a voce. Ha acconsentito a raccontarci la lotta di sua figlia contro l’anoressia nervosa, «una malattia che sottrae la luce dagli occhi» e cambia all’improvviso la personalità degli individui, rendendo figlie e figli estranei alle loro stesse madri.

L’esordio della malattia è in realtà fra i più comuni: «Era l’estate del 2022, Rachele (nome di fantasia, ndr) aveva quindici anni e mezzo. Ha iniziato a fare ginnastica e a mangiare sano. Come genitori l’abbiamo lasciata fare, a quell’età non li controlli più costantemente, e poi pensavamo che fosse un comportamento normale e diffuso tra le ragazze della sua età. C’era qualcosa di strano, però». Una stranezza notata dalla sorella maggiore, che infatti avvisa subito i genitori del fatto che Rachele sta perdendo peso molto velocemente. La madre decide allora di prendere in mano la situazione e affrontare la figlia. «Per allacciare il discorso le dissi che sarebbe piaciuto anche a me fare un po’ di dieta, ma che bisognava rivolgersi a un esperto perché altrimenti il rischio era quello di calare troppo e di avere delle conseguenze, come la perdita del ciclo. Lei mi rispose che non le venivano le mestruazioni da due mesi». A questo punto Sara, forte del campanello d’allarme che sente dentro di lei, decide di rivolgersi al medico di base, che indirizza lei e sua figlia al centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare della Ausl. «Non abbiamo mai pensato che fosse un capriccio», ci assicura. «Anzi, mi dava molto fastidio quando, confidandomi con le altre persone, queste sminuivano la cosa attribuendola a una fase adolescenziale».

È settembre, la scuola ricomincia. Rachele frequenta il liceo, non riesce a integrarsi e a trovare il suo spazio nella classe.

Nel frattempo, inizia il suo percorso all’ambulatorio Dca, ma non riesce più a trattenersi dal non mangiare. E anche il suo umore cambia. «Quando si sedeva a tavola si trasformava, si vedeva che era in difficoltà. Finiva di mangiare e aveva delle crisi di pianto. La tavola era diventata un campo di battaglia. Tutta la nostra vita familiare girava intorno al cibo». Da sola non ce la fa a risalire, per cui si rende necessario il ricovero nel reparto di Pediatria di Ravenna. È il 3 dicembre 2022 e Rachele pesa 36 kg per 163 cm di altezza. Da quel momento, entrerà e uscirà per tre volte dall’ospedale.

Dal momento che rifiuta di mangiare, si rende necessario applicarle il sondino nasogastrico per nutrirla. «È arrivata a quello, lei che prima aveva paura anche della sua ombra».

Nelle settimane passate in Pediatria, l’unico conforto che Rachele trova è nelle attività di laboratorio creativo organizzate dall’Associazione “Sulle ali delle menti”, di cui i suoi genitori fanno parte. «Era felice di essere riuscita di nuovo a colorare». Lo spiraglio di luce, però, dura poco. «Una volta tornati a casa ha ripreso a non mangiare. Aveva maturato un meccanismo per cui in ospedale obbediva solo per poter uscire e fare come voleva. Per tutto il tempo io ero con lei, ma capivo di non essere più con mia figlia, ero con un’altra persona. Sapevo quando potevo parlare con Rachele e quando invece davanti a me non c’era lei».

Arriva l’estate 2023. Nonostante i ripetuti tentativi di ricovero, Rachele non riesce a risalire la gola profonda in cui è caduta, e i medici valutano una soluzione alternativa. «A luglio siamo andati a Bologna a fare una consulenza, ci hanno detto che forse era ora di valutare un ricovero in residenza. Nel frattempo, il primario della Ausl mi aveva insegnato a mettere il sondino a mia figlia, così che lei potesse stare a casa e recarsi in ospedale di giorno per i pasti assistiti. Siamo andati avanti così fino al 22 agosto, il giorno del ricovero. Cosa abbia significato per noi lasciare Rachele lì, lo si può solo immaginare».

Da quel momento sono passati sei mesi. Oggi Rachele sta bene, vive in uno spazio sicuro, con regole rigide ma necessarie alla sua guarigione. Ha stretto amicizia con gli altri pazienti della residenza, ha trovato il suo posto all’interno di un gruppo («a loro non serve parlare – dice la madre – si guardano negli occhi e si capiscono nel loro dolore»).

Il percorso è duro e altalenante. A volte Rachele si arrabbia e allora non si riesce a parlare con lei. Altre volte sorride, scherza, è di nuovo serena. « Il pensiero del cibo è sempre lì. Rachele va avanti pur non essendone convinta, ha un conflitto interiore che rende questo percorso molto doloroso e difficile. Però adesso è consapevole di quello che le sta accadendo».

I genitori continuano a supportarla a distanza e in presenza, durante le visite settimanali, e grazie agli altri genitori dell’associazione hanno scoperto di non essere soli nel buio del tunnel. «Siamo in tanti, tutti sullo stesso fronte. Parliamo la stessa lingua, ci capiamo e ci supportiamo».

La strada è ancora lunga, ma nelle parole dei genitori c’è la voglia di continuare a lottare. «Stiamo facendo questo percorso insieme, e ogni tanto dico che è come se stessi rimettendo al mondo mia figlia una seconda volta. Non sappiamo quando tornerà a casa, ma sappiamo che quando lo farà sarà una Rachele diversa. Magari non ancora guarita, ma forte».

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