«Mi vergognavo per il colore della mia pelle, ma ora mi sento “fortunatamente” nera»

In Classense la divulgatrice Nogaye Ndiaye con il suo libro autobiografico che parla di riscoperta delle proprie origini e razzismo interiorizzato: «Durante le presentazioni ho ricevuto anche insulti»

Nogaye Ndiaye

Nogaye Ndiaye ha 26 anni, si è recentemente laureata in Giurisprudenza e vive nei pressi di Milano. Nata in Italia da genitori senegalesi, per gran parte della sua vita ha dovuto fare i conti con forme più o meno violente di discriminazione dovute al colore della sua pelle, arrivando a percepire il proprio aspetto e la propria origine come una colpa. Dal 2020 gestisce una pagina Instagram (@leregoledeldirittoperfetto) in cui fa attivismo e divulgazione con il sostegno di oltre 60 mila follower. Lo scorso novembre ha pubblicato per Harper Collins Fortunatamente nera – il risveglio di una mente colonizzata, un libro che vuole parlare di razzismo interiorizzato e di riappropriazione identitaria e culturale partendo dall’esempio del proprio vissuto e arrivando a sviscerarlo nella sua universalità.

Ndiaye sarà alla Biblioteca Classense il 10 aprile (ore 17.30), per un incontro pubblico della rassegna “Scritture di Frontiera”, a cura di Matteo Cavezzali, realizzato nell’ambito del Festival delle Culture 2024.

Da quanto tempo si occupa di divulgazione sui social?
«Il mio profilo nasce nel 2020, in piena pandemia. Credo che il “periodo Covid” abbia risvegliato molte coscienze, tra cui anche la mia. Inizialmente parlavo di università e metodi di studio, condividevo le mie difficoltà accademiche e piccoli trucchi per superarle. Iniziai a parlare anche di diritti civili, in maniera coerente con il mio percorso di studi e molto distaccata. Non mi ero mai mostrata in volto, cercavo di evitare certi commenti e di mantenere il progetto il più possibile al di sopra delle parti. Tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, però, iniziai a notare segnali preoccupanti dai media del nostro paese, tra i tanti, telegiornali e comici che usavano insulti razzisti in prima serata, invitando gli spettatori a riderci su. Vedevo legittimati sullo schermo gli stessi atteggiamenti e gli stessi termini che mi venivano rivolti nei periodi dell’infanzia e dell’adolescenza, facendomi tanto soffrire. Ritrovai una poesia che avevo scritto a soli 13 anni, Bianca o nera – sfortunatamente nera: parlava degli appellativi che mi venivano dati dai compagni di classe e dal senso di vergogna e di inadeguatezza che provavo per il mio essere nera. Decisi di leggerla su Instagram, mettendoci la faccia e dando per la prima volta un volto al mio account, sentendomi “fortunatamente nera”. Da quel momento non ho mai smesso, raccontando la mia vita e le mie esperienze come studentessa, come donna, come nera e come neurodivergente perché, nel frattempo, è arrivata anche la diagnosi di Adhd, la vera radice dei miei “inciampi” scolastici».

Come nasce invece il libro?
«Dopo due anni di attivismo, online e offline, sentivo che continuava a mancarmi qualcosa. Un giorno, dopo una manifestazione che mi aveva dato modo di parlare davanti a tantissime persone, sono andata da mia madre e per la prima volta le ho confessato di essere finalmente pronta a vedere il Senegal. Durante il nostro viaggio, oltre a documentare tutti ciò che vedevo sui social per fornire una contro-narrazione all’idea falsata che si ha dell’Africa come grande insieme indefinito di miseria e povertà, ho scritto anche un diario, dove appuntavo azioni e spostamenti, ma soprattutto le mie emozioni. Al mio ritorno sono stata contattata dagli agenti di Harper Collins, mi dissero che mi stavano “tenendo d’occhio” e che avrebbero voluto inserirmi tra i loro autori. Mi chiesero se avevo un’idea e beh, ce l’avevo. Mentre scrivevo quel diario, ammetto di aver desiderato che si trasformasse in un libro, ma non mi aspettavo che sarebbe successo così in fretta».

Come mai essere pronta per questo viaggio ha richiesto più di vent’anni?
«È stato un “viaggio al contrario”: siamo abituati alle storie di immigrati che lasciano il loro paese in favore dell’Italia, ma non viceversa. Ho passato gran parte della vita recidendo qualsiasi legame con il Senegal, lo racconto approfonditamente all’interno del libro. Per anni ho cercato di annullare la mia identità senegalese per uniformarmi ai miei compagni e allontanarmi dalle critiche. Volevo  dimostrare di non essere come “loro”, come quegli immigrati che venivano tanto condannati dal sentire comune. Sono arrivata a cambiare il mio nome, che nessuno riusciva a pronunciare correttamente in “Noghina”, nel tentativo di ricalcare una sonorità italiana. Fortunatamente nera racconta due storie, quella di Noghina, la ragazzina che scopre l’esistenza di creme schiarenti e pensa di iniziare ad usarle, rinnega le sue origini e il suo essere, e quella di Nogaye, la donna che sono ora, attivista e fiera della sua identità».

Quali altri temi vengono affrontati in “Fortunatamente nera”?
«Si parte dal viaggio: sia fisico, in Senegal, che metaforico, nel percorso di accettazione e riappropriazione. Si parla poi di razzismo interiorizzato e di micro-aggressioni che accomunano il vissuto di tantissime persone razzializzate, a prescindere dall’età. Queste esperienze personali vengono rafforzate dagli studi e dalle riflessioni di intellettuali afroamericane. Durante un anno di studi negli Usa ho scoperto che fuori dall’Italia le cose funzionavano già diversamente, entrare in contatto con saggi e ricerche di queste studiose poi mi ha fatto capire che lì tutto aveva già un nome: il “razzismo interiorizzato”, la “fragilità bianca”, concetti che avevo sperimentato sulla mia pelle ma che non sapevo avessero una valenza universale. Una delle più grandi trappole del razzismo è farci credere che siamo soli, che siamo “pazzi” o troppo sensibili, quando in realtà ci stiamo ritrovando a condividere un dolore reale».

Ci saranno altri libri in futuro o pensa di aver “chiuso il cerchio” raccontando la sua storia?
«Sono passati solo quattro mesi dall’uscita del libro e scriverei già tutto in modo diverso. Sento di avere ancora tanto altro da dire e non vedo l’ora di farlo, qualche nuovo progetto a livello letterario esiste già ma non posso ancora rivelare nulla. Devo dire però che immaginavo l’esperienza da scrittrice diversamente: ho iniziato il tour di presentazione del libro pensando che sarebbe stato tutto fantastico, ma ho finito molti incontri piangendo. Ho scoperto che tante persone presenziavano solo per offendere o fare opposizione: ora so che quando si aprono le domande è come lanciare i dadi, e ho imparato a farci i conti. Per il resto, mi piacerebbe proseguire i miei studi con un dottorato per indagare anche a livello legislativo in maniera più approfondita la sfera dei diritti civili».

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