Più trattorie romagnole per combattere il degrado culturale delle recensioni sul web

Trattoria Cervo PremilcuoreA volte mi capita di non voler entrare in un ristorante che ha un punteggio troppo alto su Tripadvisor. È il risultato di un processo finale molto lungo e doloroso, in cui i portali di rating si sono trasformati da utili risorse per discernere il modo in cui si mangia a principale agente di distruzione della cultura culinaria regionale.

Prendiamo la tipica trattoria romagnola, ovvero la più alta e nobile espressione del cibo sul pianeta. Le sue caratteristiche base: apri la porta d’ingresso ed entri dritto negli anni settanta (arredamento, illuminazione a lampadario, quadri alle pareti). Ti siedi al tavolo, arriva un cameriere con un vestito messo peggio di quello della cuoca, ti dice cosa c’è nel menu (tre minestre, tre secondi, due contorni) e tu ordini. L’alternativa tecnologica è che ti porge una fotocopia unta del menu dentro una bustina di plastica usurata. Il vino arriva in una bottiglia smarcata, sangiovese di qualità altalenante tra punte di splendore assoluto e abissi di disgusto. Mangi, bevi, ascolti le chiacchiere delle persone al tavolo vicino, quasi sempre ultrasettantenni e vestite a festa (l’argomento più caldo dell’ultimo biennio: i danni irreversibili del 110% sulla quiete del quartiere), paghi ed esci. Agli occhi del tipico utente di un portale tipo Tripadvisor questa trattoria si becca 2 o 3 stelle su 5. «Il ristorante ha bisogno di qualche ammodernamento, pochissima scelta nel menu, carta dei vini inesistente!!!, non accettano variazioni, ho chiesto il pecorino al posto della forma e lo chef è uscito dalla cucina per parlarmi, aveva in mano un coltello e alla fine il POS non accettava il circuito Maestro. PS FATE QUALCHE LEZIONE D’ITALIANO AL CAMERIERE, chiama “minestre” anche la pastasciutta, non capivamo niente».

È molto più facile che si becchi un buon punteggio il classico ristorante medio-medio, strutturatissimo, con un menu sterminato (spesso con le foto accanto ai piatti), la capacità di servire 450 coperti e tanta flessibilità, prezzi non eccessivi eccetera. Quelli che io chiamo i carnai, quelli che potenzialmente possono ospitare matrimoni e battesimi: vanno bene quando sei per strada e devi riempire la pancia.

O in alternativa i ristoranti con un forte concetto filosofico dietro, quelli in cui assieme ai passatelli asciutti ti vengono venduti un’esperienza e il privilegio di partecipare alla visione dell* chef. Non voglio fare l’hater: molti di questi ristoranti sono eccezionali e mi hanno salvato la vita. Ma sono comunque il frutto di un’evoluzione del gusto, dell’imporsi di questo populismo finto-classista da intenditori di tutto, e di questo passo la trattoria romagnola dura e pura è diventata una sorta di rarità, soprattutto nei centri delle città: resistono stoicamente alcuni posti che hanno investito migliaia di euro in opere di rebranding selvaggio per vendere la tradizione romagnola acchittando il posto con le pietre a vista, i quadri col fante di danara alle pareti e il telaio di un carretto esposto a far design, quella che io chiamo sindrome di Santarcangelo, e qualche eroe di età avanzata che ha comprato i muri del ristorante e può permettersi di mandarlo a morire di morte naturale.

Resiste, naturalmente, la periferia, in cui Tripadvisor ha ancora un potere d’influenza piuttosto limitato. Soprattutto la collina, e penso soprattutto a quella di cui sono originario, la valle del Savio, in cui un pugno di pionieri continua ad ospitare settimanalmente famiglie patriarcali che hanno un tavolo riservato da quando al Quirinale c’era Giuseppe Saragat. Le quali naturalmente sono i veri posti nei quali l’esperienza e la visione sono più intensi e catartici, e non vengono nemmeno caricati nello scontrino.

E quindi io dico: torniamoci, torniamoci più spesso, esigiamo più trattorie romagnole dalla nostra vita, parliamone alle persone a cui vogliamo bene. Poi OK, magari andarci da vegetariani non è semplicissimo, questo devo concedervelo, ma in molti hanno sbattuto col muso con l’evidenza che in una tavolata di under-55 ci possano essere due o tre vegetariani, e iniziato a considerare che un sugo alle melanzane non sia necessariamente un assalto alla mascolinità del posto o un insulto alla memoria del Passatore.

Cesenate trapiantato a Ravenna, Francesco Farabegoli scrive o ha scritto su riviste nazionali, musicali e non, come Vice, Rumore, Esquire, Prismo, Il tascabile, Not. 

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