Per i 20 anni di Blow Up una guida tra i dischi top

Da ex lettore senza rancori, celebro volentieri i 20 anni di Blow Up, rivista di critica musicale che coraggiosamente ha sfidato le logiche commerciali per occuparsi (anche) di suoni non convenzionali, creando una piccola nicchia di fedelissimi con le orecchie aperte e riuscendo pure ad anticipare spesso le mode. La rivista festeggerà l’anniversario in una tre giorni tra mostre, conferenze e concerti a Reggio Emilia, dal 3 al 5 luglio. Qui mi sono divertito a recuperare i 20 dischi “dell’anno” scelti da Blow Up in questi 20 anni. Ne viene fuori una piccola guida che spero possa essere pure utile a qualcuno. Partiamo con il 1995, primo anno di vita come fanzine di Blow Up, che scelse già con grande classe un disco come I care because you do, tra i pezzi migliori di un genio della musica elettronica come Aphex Twin, ancora ai tempi dalle nostre parti non certo sdoganato. Nel 1996 album da riscoprire e che ancora oggi suona attuale come Upgrade & Afterlife dei troppo in fretta dimenticati Gastr del Sol, un disco a suo modo epocale per il modo in cui univa avanguardia e free folk. Si parlò di post-rock, così come l’anno successivo per un disco però molto diverso, più geometrico e rock, l’omonimo di un’altra band dimenticata come gli Storm & Stress, mentre quello del 1998 è un album a mio parere minore che forse non meriterebbe di essere tra i venti, ma comunque sempre riuscito, di un ex Gastr del Sol, il grande David Grubbs che con The Thicket, unisce al suo mood sperimentale la melodia e la forma canzone. Piccolo capolavoro della musica sperimentale degli anni novanta, di non facile approccio, vi avviso, All Cracked Medias del chitarrista neozelandese Dean Roberts è stato il disco dell’anno di Blow Up nel 1999 (meglio non pensare che in quell’anno sono usciti per esempio anche il 69 Love Songs dei Magnetic Fields, o I see a darkness di Bonnie Prince Billy, o i tre Ep della Beta Band…), mentre il nuovo secolo inizia con Daniel Givens e il suo Age, ancora un grande album da recuperare di area sperimentale, pur molto più ascoltabile di Roberts grazie a influenze che vanno dall’elettronica al soul. Nel 2001 la scelta cade addirittura sui Radiohead e il loro Amnesiac, che con Kid A segna la svolta elettronica bla bla bla… L’anno successivo è il turno di un’altra grande band (soprattutto dal vivo) come gli Oneida, in questo caso la psichedelia malata e frastornante di Each one teach one. Per il 2003 c’è quasi da commuoversi pensando al pop infantile ma allo stesso tempo universale del Fear yourself di Daniel Johnston e poi si deve ringraziare Blow Up per ricordarci quattro album clamorosi in fila: dal prewar folk di Devendra Banhart (Rejoicing in the Hands, 2004) all’enorme Burial di Untrue (una svolta per la musica elettronica, nel 2007), passando per il folk-pop del miglior Sufjan Stevens (Illinois, 2005) e il folk di un altro pianeta di Joanna Newsom (Ys, 2006). Dal 2008 si ricomincia con dischi meno clamorosi ma sempre imperdibili come la drone-music elettronica di Street horrrsing dei Fuck Buttons, il cantautorato folle di Bitte orca dei Dirty Projectors, il folk-glitch-pop d’avanguardia dei The Books di The way out, l’elettronica tribale di Pinch & Shackleton e il ritorno di Fiona Apple del 2012. E infine due album belli ma forse non così tanto: il free-jazz impazzito di Exit! dei Fire! Orchestra del 2013 e il post-punk-hip hop degli inglesi Sleaford Mods dell’anno scorso.

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