Il rock (in) italiano? Per fortuna c’è Nada

Mettendo da parte le morti illustri – dopo Bowie è capitato nei giorni scorsi anche a Paul Kantner dei Jefferson Airplane e prevedo che possano morire a breve pure Leonard Cohen o Bob Dylan, meglio iniziare a pensarci – mi concentro per un attimo sulla scena del (più o meno) rock (cantato in) italiano. È uscito il nuovo disco dei Marlene Kuntz, per esempio, e ancora una volta, nonostante legga già alcune recensioni positive, l’effetto per uno che ne era stato perfino qualcosa come un fan è quasi stomachevole. Un ritorno alle origini – si era detto – e infatti ci sono quelle chitarre di nuovo “soniche”, quegli assoli rumorosi, quelle distorsioni anni novanta, che oggi però fanno l’effetto di un brutto remake, almeno nelle mani dei Marlene. Che poi completano l’opera con testi mai così didascalici (l’attacco del disco sul populismo è quasi involontariamente comico) e al solito volutamente “alti”, come se dovessi ancora spalancare la bocca sentendo cose tipo “la testa gira come un derviscio”. Magari è un problema mio e non ho difficoltà ad ammettere la mia parzialità, non essendo riuscito neppure ad andare oltre un insopportabile primo ascolto, ma oggi i Marlene rappresentano l’essenza del radical-chic più ostentato e questo tentativo di tornare alle origini mi pare più che altro un modo piuttosto studiato per riappacificarsi definitivamente con parte del loro pubblico che non aveva apprezzato la svolta cantautorale. Così come dà ai suoi fan esattamente quello che si aspettano Il Teatro degli Orrori, altro punto di riferimento del rock alternative cantato in italiano, altro messia autoproclamatosi tale al microfono che ci spara le sue sentenze nelle orecchie. Confuso, troppo pieno, caotico: ascoltare il loro ultimo disco subito dopo quello dei Marlene non mi ha quasi fatto dormire la notte. E allora forse sono io, ripeto, che preferisco ormai situazioni minori e più autentiche, come la follia dei Bachi da Pietra o di un Giovanni Truppi. O come Nada (Malanima). Lei sì che se ne frega del pubblico e di qualsiasi logica commerciale. Lei sì che continua a mettere la sua vita nella sua musica, questa volta facendo un album «autarchico, autoprodotto, autoscritto, autotutto» – dice – nella sua cameretta con il software della Apple e chiamando poi alcuni amici a suonare (tra cui anche i “nostri” Sacri Cuori). Un disco (uscito a metà gennaio per Santeria) intimo e ispiratissimo, “L’amore devi seguirlo”, un piccolo gioiello da avere. Fino a qualche anno fa poteva sembrare una battuta, ma oggi in Italia davvero in pochi, soprattutto tra i big, possono dirsi più “rock” di questa signora di quasi 63 anni…

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