Andavo a canocchie ma ho preso le triglie… La capacità adattiva Seguici su Telegram e resta aggiornato Nella vicina Cesenatico, c’è il polo dei pescatori. È nella parte della darsena, quella meno turistica ma, a mio avviso, la zona dal sapore più autentico e caratteristico. Non ci sono i suggestivi vecchi bragozzi, quelli sul porto canale davanti ai ristoranti di pesce, dove a Natale in tanti arrivano per vedere il Presepe della Marineria. Caratteristico per essere sopra le barca da pesca di una volta. La zona che dico io ha un sapore tutto diverso. Ci sono le banchine con i pescherecci di oggi. Il rumore dei generatori, le pescherie e gli ingrossi che servono sia i privati, ma perlopiù i ristoranti. Bilici parcheggiati con i cassoni profondi e pieni di ghiaccio. Uno degli ultimi che ho visto era un camion frigo enorme con le diciture ispaniche sulla fiancata e in grande la scritta “Barcelona”, con una elle sola, in spagnolo. Tra la zona delle pescherie, la banchina grande e quella piccola dove sono ormeggiate barche più ridotte c’è un bar. Il bar di Dino, “Il bar dei pescatori”. Mi piace andare in questa zona, parlare con i pescatori, bere un caffè da Dino. Al bancone le prime volte ero guardato con curiosità dai pescatori dato che è raro ci vada qualcuno di estraneo. Un giorno sono stato in una di quelle pescherie. Era tardi, quasi mezzogiorno. Ho chiesto se potevo avere delle canocchie. Il pescivendolo mi ha detto: «Le ho finite, ti do delle triglie?». «Che differenza» ho pensato. Le canocchie sono crostacei, la triglia è invece un piccolo pesce, neanche si assomiglia. Dato che aveva anche altre cose: scampi calamari, vongole, solo per dirne alcune, gli ho chiesto come mai mi proponesse le triglie, a me che volevo le canocchie. «Perché quelli che vanno a canocchie se non le prendono, prendono le triglie». A una risposta così netta non ho potuto fare altre che chiedere un chilo di triglie per l’appunto, anche se non avevo capito cosa intendesse. Uscito dalla pescheria sono andato verso le barche. Quelle piccole, dall’aspetto più artigianale ed amichevole. C’era Matteo, un giovane pescatore di canocchie. Gli ho raccontato il fatto, mostrando la sportina con il mio acquisto. Mi ha spiegato che le triglie razzolano il fondo e si infilano nella rete delle canocchie. Sul mercato hanno un costo molto più basso rispetto alle canocchie, ma sono comunque pescato. Una sorta di premio di consolazione, o meglio una sorta di “piano B” non voluto, una sorta di compensazione. Matteo certo preferisce le canocchie, ma se nella rete ci sono le triglie non si dispera. Le triglie in psicologia sono sinonimo del saper ridefinire i propri obiettivi. Sono equivalenti alla capacità adattiva. Al concetto di resilienza e plasticità. Il docente che tiene conto dei propri alunni e riformula continuamente i propri obiettivi in una prospettiva didattica inclusiva testimonia appunto plasticità. Svolgerà certamente il proprio ruolo in modo più apprezzato rispetto ad un insegnante statico. Lo stesso vale per l’imprenditore che sa adeguarsi al mercato, così come per le persona comuni immerse nelle relazioni della vita quotidiana. Ne è testimone Valentino Rossi che non vince più come qualche anno fa ma sa divertirsi ancora e continua a correre. Non si pone il problema di blindare il proprio mito, ma piuttosto di spassarsela. Anche l’etimologia greca della parola crisi, krino, intesa nel nostro caso come assenza di canocchie, significa separare, cernere. Ma in senso più ampio anche giudicare, valutare. Porre una riflessione su come la condizione deludente possa trasformarsi in un miglioramento, e in un’opportunità. Total0 0 0 0 Seguici su Telegram e resta aggiornato leggi gli altri post di: Lo sguardo dello psicologo