253 – Serafini dalle lunghe figure

Sant'Apollinare Nuovo Mosaici

Nell’estate del 1873, in occasione di uno dei suoi soggiorni italiani, lo scrittore statunitense Henry James visitò la città di Ravenna e, come ebbe modo di ricordare nella sua opera intitolata Ore italiane, ne respirò l’aria «carica di prodigiosi ricordi e di stupefacenti reliquie».
Per James la città appare come un luogo solitario e desolato: «Di Ravenna comunque non ho che da sorridere, di un sorriso grave, meditabondo, filosofico, mi affretto a precisare, così come conviene alla dignità storica, per non parlare della tristezza mortale e solatia del luogo».
Durante la sua permanenza in città va a cavallo nella pineta «sulle orme di Byron, di Dante, di Boccaccio», parla con le persone del luogo, visita il sepolcro di Dante definendolo «tutto fuorché dantesco», ammira le antiche basiliche. Assapora l’«onda di luce morbida» che filtra nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe, paragona il Mausoleo di Galla Placidia a «una piccola grotta naturale, striata di minerali luminescenti», racconta l’inquietudine provata davanti alle solenni processioni della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo: «Che cosa di preciso questi serafini dalle lunghe figure slanciate intendano esprimere non sono certo in grado di dirlo; tuttavia, a guardarli bene, dagli stretti ovali dei loro occhi sfugge uno sguardo obliquo che, sebbene non privo di dolcezza, mi indurrebbe certo a mormorare una preghiera di scongiuro o qualcosa di simile, se mi dovessi trovare solo nella chiesa al calar delle tenebre».

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