L’occasione persa di Seven Sisters e il ritorno della “febbre”

Seven Sisters (di Tommy Wirkola, 2017)
Il norvegese Tommy Wirkola è un idolo, perché ha dato alla luce i due Dead Snow, tra gli horror più divertenti ed entusiasmanti degli ultimi anni, e di cui qui si è ampiamente parlato. Dopo Hansel & Gretel Cacciatori di streghe, il suo primo film con una grande produzione, gli viene affidata una delle sceneggiature “maledette” di Hollywood, in quanto scritta addirittura nel 2001 ma mai realizzata fino a oggi. In un futuro distopico dominato dalla sovrappopolazione, il piano governativo è quello di limitare le nascite a un solo figlio per coppia, dando la caccia ai secondogeniti e oltre per sottoporli a un discusso sistema di ibernazione per un mondo migliore. Un nonno riesce a salvare le sue ben sette nipotine, dando a ciascuna di loro il nome del giorni della settimana e usando vari espedienti per nasconderle per oltre vent’anni: ognuna potrà uscire solo il “suo” giorno della settimana e fuori dalla porta saranno un’unica persona con l’identità della madre defunta, e a fine serata una bella riunione per riferire della giornata passata.  fino a che Lunedì sparisce misteriosamente. Il film inizia in modo avvincente e la storia fino alla sparizione è gestita molto bene, mentre col passare dei minuti la fantascienza lascia spazio all’azione. Il film perde così identità in favore di un divertimento non sempre ben congeniato a livello di scrittura, coerenza e linearità, con un colpo di scena non difficile da intuire e a un’iniezione di buonismo hollywoodiano di cui non si sentiva certo la mancanza. Bravissima Noomi Rapace alle prese con ben sette ruoli, più rigida Glenn Close nel ruolo dell’antagonista, che pare ancora imprigionata nei panni di Crudelia. Wirkola perde l’occasione di emergere come autore perché non riesce a dare la sua impronta di ironia, ritmo e divertimento dei suoi primi horror. E pur non scadendo nel melodramma, la sua storia non acquista mai lo spessore necessario. Ci troviamo davanti a un prodotto da pop-corn piuttosto godibile, ma rispetto ai classici di  fantascienza, Seven Sisters somiglia di più a un’occasione sprecata.
La febbre del sabato sera (di John Badham, 1977)
Torna in sala (lunedì 3 e martedì 4 al cinema Mariani) un classico degli anni Settanta, restaurato, integrato da un paio di tagli e pronto sia per una visione sul grande schermo per i quarantenni, sia per i ragazzi di oggi. Come Rocky (capolavoro uscito soltanto un anno prima), anche Tony Manero è un giovane di umili origini italiane che di giorno si guadagna umilmente da vivere ma che sogna un futuro migliore. La discoteca è il nuovo fenomeno e Tony ne è decisamente il re, con i suoi balli e carisma da vendere. Cult senza tempo, il cui invecchiamento è diventato semplicemente lo specchio di un periodo e di una generazione, il film è soprattutto testimone del battesimo di uno dei fenomeni nati in quegli anni, la discoteca con la disco music capeggiata dall’epocale Stayin’ Alive dei Bee Gees (e non solo), e lo sa rappresentare in maniera perfetta. Aggiungiamo che la vicenda è ben scritta, ben rappresentata, che rispecchia valori positivi e negativi dell’epoca, e soprattutto meravigliosamente interpretata dal giovane e allora sconosciuto John Travolta, che dopo La febbre e  Grease, cadde nel dimenticatoio fino al ripescaggio con Pulp Fiction.

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