262 – Un filo di retorica

Mosaici

Nel 1981 l’Istituto Geogra­fico De Agostini pubblicava, nella collana “Documenti d’Arte”, un volume dedicato ai mosaici di Ravenna arricchito da numerose immagini accompagnate da un saggio introduttivo di Claudio Marabini, scrittore e giornalista di origini faentine. Nell’introduzione dal titolo quanto mai evocativo – Teatro del silenzio e della luce – l’autore offriva una visione sulla storia e sull’arte ravennate corredata da colte citazioni letterarie: «Si rischia forse un ­filo di retorica, ma la prima “lettura” dei mosaici di Ravenna deve nascere dal paesaggio: dai pini, esattamente, dalla pineta che circondava la città e accompagnava un lungo tratto di mare. Oggi non più, certo; oggi che il posto dei pini è stato preso dalle ciminiere e nel vento non si spande più l’odore della resina ma quello dell’industria chimica, che lascia in cielo ­occhi di fumo stranamente bianco e alimenta ­fiammelle lingueggianti sopra sottilissimi pennoni […]. Eppure chi ha visto la vera pineta, chi ricorda quella di San Vitale, che non è più, e l’altra di Classe, il Chiassi di un tempo e di Dante […], sa che la trasparenza delle chiome dei pini, il verde marino che scende attutito dallo sfarfallio degli aghi, le lame di luce in diagonale, i candelieri snelli e possenti dei tronchi, la loro grafita squamosità, e le macchie scure delle pigne: tutto questo concerto di colori e di forme nette e sfumate, concrete e irreali rimanda alle forme e ai colori, all’atmosfera e al brillio dei mosaici».

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