263 – Ravenna e i fili del passato

Mosaico Tardoantico Ravenna

Nel 1953, nel decennale della morte di Santi Muratori, la Cassa di Risparmio di Ravenna riproponeva alle stampe, per la tipografia Strumìa & Tazzari, un suo prezioso scritto del 1932 nel quale lo storico direttore della Biblioteca Classense offriva un’appassionata e colta narrazione sulla città di Ravenna, la sua storia, i suoi monumenti: «Parlando di Ravenna, bisogna fare, poco più poco meno, della storia. Ravenna è quasi unicamente il suo passato. Ravenna non si comprende se non si richiamano elementi, non si riannodano i fili di quel passato […]. Ma io voglio, di questa città che ha avuto tanti celebratori, che è stracarica di letteratura, cercare non solamente il poetico e il bello […], ma il saldo il positivo il concreto; esaminarla un po’ anche dal rovescio dello sbalzo; cercare non tanto ciò che essa fu nel tempo ed è nella realtà presente, quanto il perché di questo suo essere; il perché di quella particolare inconfondibile fisionomia […]. Ma quando diciamo Ravenna, par che si levi non so che fumosa nebbia romantica. L’hanno detta la “dolce morta”; la “città delle tombe”; la “taciturna”; altri, con estetismo più erudito, l’hanno chiamata la “Pompei italo-bizantina”. Tutti l’hanno immersa in una luce strana, crepuscolare. Noi che vi nascemmo e viviamo, che siamo in lei com’essa è in noi, che siamo, permettete, il suo silenzio e la sua voce, noi la sentiamo, Ravenna, con una più intima e sottile vibrazione d’amore, e con una sempre più accesa curiosità ne indaghiamo il segreto».

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