Nel 1907 Arthur Symons, poeta e critico letterario britannico, dava alle stampe un volume intitolato Cities of Italy, un’opera in cui parlava anche di Ravenna, una città che lo aveva enormemente affascinato per il suo silenzio e la sua atmosfera sospesa. Incantato dai mosaici dei suoi monumenti, ne diede una lettura sognante e delicata: «A Ravenna il mosaico raggiunge una qualità difficile da trovare altrove, una morbidezza quasi diafana. I colori del mosaico a Venezia sono quelli dell’acqua veneziana, quando è macchiata da nuvole e dai riflessi delle cose; il mosaico veneziano è acqua trasformata in pietra. Ma a Ravenna i colori sono quelli del cielo. Ho visto, al tramonto, un cielo in cui potevo distinguere le esatte sfumature di certi viola e rossi e gialli bluastri che avevo visto nei mosaici di San Vitale, negli uccelli, negli animali e nei frutti del soffitto centrale del coro. Ho visto, al tramonto, il più sottile verde di S. Apollinare in Classe, la malachite e i lapislazzuli del Battistero degli Ortodossi, che a sprazzi attraversano il cielo sopra Ravenna. Ravenna è una città rivestita di materiali duri: i marmi e il metallico splendore dei mosaici. E questi materiali duri sono diventati duttili e luminosi, un ornamento di gioielli orientali, colorati in infinite gradazioni. […] Tutto è coperto di mattoni rossi grezzi, un semplice guscio, su questi templi che ancora sono, dopo la devastazione di quattordici secoli, i luoghi più regali costruiti per Dio e i santi».
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