Capita tal volta di imbattersi in poetiche e incisive descrizioni dei mosaici di Ravenna nei contesti più vari, come ad esempio nel volume «Arte e Fede» di Renzo Uberto Montini, pubblicato postumo nel 1962. Dei mosaici ravennati ricordava le «sognanti vergini incorporee di S. Apollinare Nuovo» e di come «ectoplasmi lievi si fanno anche – al pari degli angeli e dei santi – i personaggi reali di Giustiniano e Teodora con il loro seguito nei musaici del presbiterio di S. Vitale». Sulle processioni della Basilica di Teoderico, inoltre, aggiungeva: «Il musaicista che allineò nel registro inferiore delle pareti di S. Apollinare Nuovo le due processioni delle Vergini e dei Santi, rinnovando una decorazione preesistente allorché la Chiesa passò dal culto ariano a quello cattolico […], non risente più, come quelli delle zone superiori, di influssi romani, ma conduce il suo squisito discorso figurativo in forme nettamente bizantine: delicatezza di grafismi, gioia schietta del colore puro, lentissimo e sognante ritmo compositivo su speculari fondi aurei. Intervallate da palmizi, le Vergini in vesti preziose di basilisse si ripetono senza fine in musicale iterazione, assorte nel gesto di offrire le loro corone alla Madonna verso cui si dirigono e che non raggiungeranno mai, destinate quali sono a rimanere per i secoli nell’immobilità arcana in cui le ha fermate l’artista per la gioia dei nostri occhi e vitale nutrimento del nostro spirito, incantato dal loro soave procedere tra cielo e terra».
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