269 – «Cose sacre, ed anco profane»

Veduta Ravenna Candiano Incisione

Nel 1852, il sacerdote ravennate Antonio Tarlazzi dava alle stampe una delle sue principali opere dal titolo Memorie sacre di Ravenna. Nell’intento dell’autore il testo si presentava come il prosieguo, a distanza di quasi due secoli, de Le sagre memorie di Ravenna antica di Girolamo Fabri, come egli stesso ebbe a dichiarare nella dedica a Chiarissimo Falconieri Mellini posta all’inizio del volume.
Anche nella premessa al lettore Tarlazzi dichiarava la sua volontà di confrontarsi con l’opera di quel ravennate illustre che di Ravenna aveva raccontato la storia: «nello svolgere le carte di questo Archivio Arcivescovile, nel leggere memorie inedite, ed anco stampate relative alla Storia di Ravenna dei tempi posteriori, e nel considerare gli avvenimenti accaduti sotto i miei occhi, mi è venuto in mente il pensiero di far cosa, se non di pregio, almeno di utilità, continuando il racconto storico del Fabri, annotando i mutamenti riferibili a cose sacre, ed anco profane, ed aggiungendo la descrizione della vita, e dei fatti di dieci Arcivescovi, che sonosi succeduti fin qui nella sedia pastorale di questa Città, e Diocesi».
L’opera era stata concepita suddivisa in due parti: la prima, preceduta da una premessa storica, comprendeva la descrizione delle chiese della città, mentre la seconda presentava le vite degli arcivescovi da Luca Torregiani a Falconieri Mellini. Al lettore raccomandava benevolenza e augurava felicità: «e sono certo, che scuserai ogni mio difetto. Vivi felice».

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