265 – La grotta di Alì Baba

S. Apolinnare Nuovo

A leggere certe descrizioni di Ravenna che uomini di cultura hanno lasciato, talvolta c’è da rimanere sorpresi e divertiti. Alcuni racconti sono quanto mai fantasiosi e bizzarri. Da molti viaggiatori la città degli Esarchi è stata definita morta e decadente: per Jules Claretie è «la mummificazione», per Alfred Driu a Ravenna «si muore di consunzione».
Tra le visioni più originali e colorite va certamente annoverata quelle di Dominique Durandy che nel suo resoconto di viaggio in Italia – Poussières d’Italie. Carnet d’un automobiliste, edito a Parigi nel 1914 – dietro all’«apparenza misera», ne intuisce gli splendori: «Ravenna assomiglia ad un avaro che nasconda i suoi tesori. Le sue sembianze di povera cenciosa ricordano il mendicante che cela ricchezze sotto il materasso! Verso di lei vanno, confusi, con le labbra tremanti per una strana emozione, i turisti, gli artisti, i poeti, desiderosi di comunicare con le civiltà scomparse e di conoscere l’estasi preziosa che suscitano le città celebri sepolte sotto la cenere, intaccate dalla lebbra delle muffe, rigide e fredde come sepolcri […]. Appena varcata la soglia di queste chiese poco invitanti collocate in strade deserte, dalle facciate povere e sciupate, si è in piena magia. La grotta di Alì Baba che si apre pronunciando una parola magica non dovette suscitare una sorpresa più grande, una impressione più completa! Ovunque, i mosaici sfolgorano! […] La povera diventa principessa, gli stracci si trasformano in ricchi broccati».

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