I miei dischi nei giorni del disordine – di Riccardo Amadei

IMG 9887Il fatto è che in furgone non abbiamo l’autoradio. È un Ducato vecchissimo e poi ogni volta Alberto o Enrico mi dicono che porteranno le casse wireless per collegarci il telefonino, che poi non colleghiamo mai, perchè Enrico col telefonino ci spippola tutto il tempo per stalkerare le sue amiche e Alberto lo usa come navigatore (lo attacca da quando esce dal garage fino al parcheggio del locale dove suoneremo) e allora ci sarebbe il mio di telefonino, ma poi immancabilmente le casse wireless quei due se le dimenticano, assieme a un leggìo e al rullante e sai che delirio. Aggiungiamoci poi che Alberto viene da decine di anni nel metal spezzino, Enrico è un jazzista con tanto di pedigree (non parlategli mai del periodo elettrico di Miles Davis, potrebbe uccidervi), insomma capite bene la difficoltà nel selezionare una playlist? Elena, la violinista, ha una formazione accademica, adora la musica classica e i grandi cantautori degli anni 70 (ma io l’ho vista con questi occhi pogare a Ravenna mentre i Marlene Kuntz martellavano il pubblico con “Festa mesta”) e Gianluca… beh Gianluca ha 3 fuzz Big Muff in pedaliera e il santino di Jack White nella custodia della sua Mustang del ’72, insomma, è veramente dura. Comunque proviamoci: ecco qualche album che ha segnato profondamente la mia geografia musicale, il tutto rigorosamente in ordine sparso ovvero in disordine, che poi è la cifra di questo tempo, no?

Weld di Neil Young and Crazy Horses Avevo 16 anni, andavo al Centro Sociale di Santa Giustina a fare incetta di cd (se ne potevano prendere in prestito fino a 5 per volta, l’mp3 era ancora solamente una sigla), portai a casa questo doppio live, assolutamente inconsapevole della materia incandescente che mi era capitata per le mani, lo diedi in pasto allo stereo Panasonic e alzai il volume: da allora non mi sono più ripreso (e non ho più abbassato il volume), giuro tutt’ora in certi passaggi mi si chiude ancora la gola. L’attitudine all’elettricità di Neil Young quando impugna le briglia dei cavalli pazzi è qualcosa di emotivamente deragliante. Con quel disco ho capito appunto che deragliare spesso può far parte della traiettoria.

Disperati, intellettuali, ubriaconidi Bobo Rondelli Considero Bobo il più grande cantautore vivente del Belpaese. È uno di quegli artisti che dal vivo fanno il vuoto dietro. In questo disco c’è un brano, “Gigiballa”, dove Bobone canta la disperazione di un orso in gabbia in preda a un terribile mal di denti. Mentre il pubblico feroce e inconsapevole lo deride e gli lancia noccioline, Gigiballa si dispera, urla afono, cerca aiuto ma nessuno lo comprende. Durante l’esecuzione del brano la metamorfosi di Rondelli nel povero orso è qualcosa di commovente: i rantoli, le espressioni facciali, la crudeltà della gente e la marcetta grottesca a coprire l’orrore a colpi di gran cassa. Poi se lo chiedete a lui, son sicuro che vi direbbe che si tratta solo di un povero orso sfigato, ma sta proprio lì il segreto di Bobo Rondelli: nella capacità di entrare nelle canzoni, e di trascinarci poi tutto quello che ha a tiro, come un vortice, come una vertigine. E se poi lo guardi bene, se riesci ad intercettare i suoi occhi sfuggenti lo vedrai chiaramente: l’orso. Perchè Bobo è Gigiballa.

“Babel” Soudtrack Un film fatto di sguardi, dove la colonna sonora è l’architrave su cui poggiano le storie laceranti raccontate da Inarritu. Col tema di “Bibo No Aozora” un Sakamoto dallo spleen europeo ci regala una zattera in campo lungo, per portarci alla deriva.

A Ghost Is Born di Wilco Ma Nels Cline è un genio della 6 corde oppure un invasato dell’effettistica e del “famolo strano”? Di sicuro a quel geniaccio di Jeff Tweedy va benissimo così com’è, e come dargli torto. Il disco si apre sornione con “At Least That’s What You Said”, che è il mio brano preferito in assoluto, il Solo di chitarra che squarcia la canzone nella parte centrale ha qualcosa di musicalmente “pericoloso”, il Principe direbbe che “scarta di lato”.

Plastic Fang di Jon Spencer Blues Explosion The King is dead, ok, ma di sicuro ha lasciato qualche degno erede. Jon Spencer, corrosivo e debordante come il rock’n roll dovrebbe sempre essere, per ascoltare “She Said” è necessario mettersi in posizione antiurto. Non bastasse questo, varrebbe la pena di comprare il cd solo per l’artwork della copertina.

Dalla di Lucio Dalla Questo è l’album che cantavo a squarciagola con mio padre dentro la nostra Fiat Croma, quando all’età di 6-7 anni si andava in montagna a Predazzo a sciare con tutta la famiglia. Le storie che raccontava Dalla mi prendevano di sorpresa e il turpiloquio nei brani all’epoca mi faceva molto ridere. Lucio Dalla per me fa rima con “libertà”, proprio lui che diceva “davanti alla musica non ho mai potuto scegliere”. Mi manca tantissimo, mi manca come lo zio strambo che di nascosto ti prende e ridendo sotto i baffi ti porta a fare un giro sul suo motorone, senza casco. Lucio cantava “Tutta la vita, al centro della confusione”. Ecco appunto del Disordine, come si diceva all’inizio, vedi che tutto torna? Alberto non parla e guida, ma sembra annuire: sono più che sicuro che neppure la prossima volta si ricorderà di portare le casse col wireless. Forse.

* Riccardo Amadei è un cantautore di Rimini. Autore di musica per il teatro e promotore culturale con l’associazione “Risuona Rimini”, ha pubblicato due album a firma “Riccardo Amadei e Les Pastìs” Sabato 17 febbraio sarà sul palco del teatro Corte di Coriano con altri artisti riminesi per una serata dedicata a ritratti di cantautori

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