Einstein 1905: nasce la relatività ristretta

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Siamo rimasti a fine ‘800 con i due pilastri della fisica – il principio di relatività di Galileo da cui è derivata tutta la meccanica newtoniana, e l’elettromagnetismo di Maxwell che descrive i fenomeni elettromagnetici, e quindi la luce – in contraddizione tra loro. In particolare la regola di trasformazione delle velocità derivata dal principio galileiano non si applicano alla luce senza portare ad assurdi.
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Che fare? Buttare la relatività di Galileo o l’elettromagnetismo di Maxwell?

L’idea giusta viene nel 1905 ad un giovane fisico tedesco trasferitosi in Svizzera, dove lavora all’ufficio brevetti di Zurigo. Ha 26 anni e si chiama Albert Einstein. Un perfetto signor nessuno.
Egli decide di tenere l’uno e l’altro, e avrà ragione.
Parte assumendo il principio di relatività di Galileo, e lo pone come Primo postulato della sua teoria: le leggi fisiche sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

Ma aggiunge un Secondo postulato, in cui afferma che la velocità della luce nel vuoto è costante ed è un limite invalicabile.

Questi due postulati sono gli unici due ingredienti della Relatività einsteiniana (o Relatività Ristretta, ovvero senza considerare la gravità che meriterà discorso -e teoria- a parte).
In paricolare il Secondo principio ha un effetto dirompente.
Oggi tutti lo sanno ripetere, recitando a memoria che la velocità della luce è un limite invalicabile, ma pochi si rendono conto che lo stesso postulato implica che è costante in qualunque sistema di riferimento, indipendentemente dallo stato di moto della sorgente o dell’osservatore.
Ricordate la regola di trasformazione delle velocità di Galileo tra sistemi di riferimento in moto relativo tra loro? Ne abbiamo parlato nel post precedente. Applicandole alla luce si capisce che qualcosa non va. Se la velocità della luce che esce da una torcia è C (299 792,458 km/s) e se mi trovo su un treno che si muove a velocità costante V, da terra, ferma sul binario, vedrei la luce propagarsi alla velocità C+V (che è maggiore, anche se di poco, di C). Ma ciò è in contraddizione col Secondo postulato, che mi dice che anche l’osservatore da terra deve vedere la luce propagarsi alla velocità C!
La cosa, ammetto, è controintuitiva.

ProfLorentzLa conseguenza è che queste trasformazioni non vanno bene. Ma quelle giuste sono già in circolazione. Le ha trovate Lorentz qualche anno prima e sono proprio quelle che rendono l’elettromagnetismo compatibile con nuova Relatività eisteiniana.

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C è poco meno di 300mila m/s ed è molto più grande di qualunque velocità a noi comunemente accessibile. Per le velocità che osserviamo nella nostra quotidianità, ovvero molto piccole rispetto a C, queste trasformazioni si riducono a quelle di Galileo, che quindi possiamo tranquillamente continuare ad usare nella vita di tutti i giorni.

Introducendo il Secondo postulato e sostituendo le regole di trasformazione delle velocità di Galileo con quelle di Lorentz, Einstein riesce a salvare entrambe le teorie, rendendole compatibili.

Si sente spesso ripetere che erano in molti in quegli anni gli scienziati che ci stavano “girando attorno” (Lorentz stesso, Poincarè…) e che in effetti la soluzione del problema fosse “nell’aria”. Tuttavia se la soluzione era nell’aria, Einstein ha avuto il merito di andare fino in fondo alle conseguenze implicate dalla sua teoria, senza pregiudizi o timori reverenziali. Gli altri ci stavano, appunto, girando intorno. Solo Eistein ha avuto il coraggio di trarre appieno e accettare le conseguenze insite nella sua formulazione, semplice e minimale: lo spazio e il tempo assoluti non esistono, ma dipendono essi stessi dal moto. Tradotto, significa che le misurazioni degli intervalli di tempo e di spazio cambiano a seconda di chi li misura, pur se in possesso degli stessi strumenti di misura. In particolare dipendono dalla velocità con cui si muove chi li misura.
Penso che le implicazioni della Relatività ristretta meritino un post a parte.

Una settimana sarà utile anche per digerire i due Postulati.

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