lunedì
16 Giugno 2025
Rubrica Eppur si muove

Medaglia Fields e classifica Università mondiali

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In questo post intendo parlare di due notizie apparentemente scollegate tra loro.

La prima.
Quest’anno è stata assegnata la Medaglia Fields, il cosiddetto Nobel per la Matematica: il premio più prestigioso per questa materia, riconosciuto a matematici con meno di 40 anni dalla IMU (International Mathematical Union) in occasione del Congresso internazionale dei Matematici, che si tiene ogni quattro anni. I vincitori sono stati Artur Avila, Manjul Bhargava, Martin Hairer e Maryam Mirzakhani.
Artur Avila è il primo sudamericano ad ottenerla, ma è per Maryam Mirzakhani che si sono consumati fiumi di inchiostro digitale, perché donna e per di più donna iraniana.

Maryam Mirzakhani, Tehran 1977
Maryam Mirzakhani, Tehran 1977

E’ stata la prima donna a ricevere questo riconoscimento e ciò ha aperto il vaso di Pandora dell’eterno dibattito su perché e percome le donne così raramente raggiungano certi riconoscimenti scientifici, se è perché sono meno portate o per il contesto sociale svantaggiato…(non intendo affrontare la cosa qui e ora).
In tutto questo sono state dimenticate, trascurate o semplicemente messe in secondo piano quelle che secondo me erano le notizie più significative per comprendere il quadro che ha portato a questo riconoscimento a Mirzakhani, ovvero: “dottorato ad Harvard, attualmente professore a Stanford”. Perché molto più del genere, della biologia, della religione e del Paese di nascita, conta il contesto in cui ci si forma scientificamente e dove si svolge la propria ricerca.
L’unico italiano ad avere vinto la Medaglia Fields è stato Enrico Bombieri nel 1974, da quasi 40 anni professore a Princeton.

E ora la seconda notizia.
Nessuna Università italiana tra le prime del mondo secondo la classifica diffusa da Academic Ranking of World Universities 2014, solo sei tra la 150esima e la 200esima posizione (Bologna, Milano, Padova, Pisa, La Sapienza di Roma e Torino in ordine alfabetico). Tra le prime 10 ci sono 8 università statunitensi e due britanniche, che sanciscono lo strapotere anglosassone in questa classifica. Poi Zurigo, Monaco, Heidelberg, Melbourne, Tokyo nelle prime 50, quattro francesi nelle prime 100, l’ascesa delle cinesi…

Detta così sembra una non-notizia, poiché la classifica conferma un dato consolidato per il nostro Paese.
Queste classifiche valutano la qualità dell’insegnamento, la produzione della ricerca accademica, le strutture di sostegno agli studenti. Non sono classifiche da prendere alla lettera, come l’arrivo degli atleti ad una maratona, ma la grande coerenza tra i risultati dei maggiori istituti che si occupano di redigere queste classifiche impone una certa prudenza di giudizio prima di derubricarne i risultati con supponenza.

Il livello dei laureati italiani è piuttosto buono, a differenza di quanto diffusamente ritenuto. Ne sia prova il successo degli italiani quanto tentano di accedere ad università estere dopo la laurea. Il sistema universitario invece (centri studio, dormitori, borse di studio, prestiti, campus, accessibilità online, burocrazia….) è invece penoso, quando non proprio inesistente. In alcuni casi una vera corsa ad ostacoli per gli studenti.
La ricerca italiana, quella poca che viene fatta, è di livello buono anche se condotta in condizioni disperate da pochi eroici professori che fanno ricerca – e la fanno bene, assumendo ricercatori e post-doc, formando dottorandi – anche se potrebbero venire pagati uguale anche senza fare assolutamente niente. Tuttavia la nostra buona ricerca rimane episodica e discontinua e non riesce a rendere sistematiche le buone pratiche per un sistema baronale asfissiante e tentacolare. Le Università italiane sono imbottite di “baroni” che non fanno altro che coltivare la propria posizione di potere e occupare posti da distribuire a familiari e fedelissimi. Nessuno chiede ad un professore italiano, Associato o Ordinario, di essere produttivo né in termini didattici né sul piano della ricerca scientifica.
Ad Harvard, per fare un esempio non a caso, i professori vengono pagati per i 9 mesi di insegnamento, insegnamento che viene monitorato e valutato continuamente. Per fare ricerca, comprare strumenti, assumere post-doc e ricercatori, partecipare a congressi o invitare esperti internazionali, oltre che per coprire i rimanenti tre mesi del proprio stipendio annuo, i professori di Harvard devono fare continuamente domande per l’attribuzione di fondi su progetti, e su quelli venire valutati. E in base alle valutazioni ottenere più o meno facilmente i fondi richiesti nelle successive domande.

Ecco i primi tre posti della classifica delle Università mondiali secondo Arvu 2014:
1. Harvard (Boston)
2. Stanford (California)
3. MIT (Boston)

Ora potete collegare da soli le due notizie.

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