Renato Dulbecco, una vita spesa per la ricerca e l’impegno civile

Un mese fa, il 20 febbraio 2012, è morto Renato Dulbecco, scienziato italiano di fama mondiale.

Nato a Catanzaro (ah, il Sud di fannulloni!!) nel 1914, si laurea a Torino a 22 anni e lascia l’Italia per gli USA a 33. Ed era stato pure mandato come soldato in Russia nel ’45.
Ha ottenuto nel 1975 il massimo riconoscimento per uno scienziato, il premio Nobel, per gli studi condotti negli anni ’60 sui virus oncogeni, cioè responsabili di tumori, stabilendo il meccanismo di alterazione cellulare permanente.
Suo anche il primo mutante del virus della poliomelite che ha permesso a Sabin di sviluppare il suo famoso vaccino.
A partire dall’85 promuove (nello scetticismo generale) il progetto GENOMA che in soli 15 anni (nell’incredulità generale) arriva a mappare completamente il patrimonio genetico umano.
Per intenderci, prima si era arrivati a mappare integralmente solo il genoma di alcuni moscerini.

Quasi tutta la sua ricerca è stata condotta negli Stati Uniti. A differenza di altri scienziati con i quali ha condiviso la scelta di lasciare l’Italia, ma che hanno tagliato i ponti con la madrepatria, taluni sviluppando un rancore profondo verso il Paese dal quale si sono sentiti rifiutati (alcuni anche tra i Nobel si rifiutano di parlare italiano!), Dulbecco ha mantenuto sempre forti legami con il nostro Paese.

Uomo gentile e sorridente, ma non silenzioso. Ha messo a disposizione la sua fama mondiale e la sua autorevolezza di illustre scienziato in iniziative a sostegno alla ricerca e al ritorno dei cosiddetti “cervelli in fuga”; nel 2005 ha sostenuto con forza assieme all’amica di sempre Rita Levi Montalcini il referendum per abrogare la Legge 40 sulla procreazione assistita (perdendo).
Nel 1999 ha condotto assieme a Fabio Fazio il Festival di Sanremo (se non erro l’ultimo che ho seguito) per sostenere la raccolta fondi per la ricerca usando il palco dell’Ariston per parlare di ricerca, ricercatori, medicina, tumori e genetica, e devolvendo il suo compenso al rientro di giovani ricercatori dall’estero.

Profondamente cattolico, ha saputo come tutti i grandi, mantenere questo aspetto nella sfera personale evitando ogni interferenza con la sua ricerca.
Nominato presidente nel 2000 di una commissione ministeriale italiana di bioetica -formata da scienziati, giuristi, filosofi, bioeticisti- ha sviluppato una procedura che permetteva di proseguire la ricerca e le terapie con cellule staminali superando i dubbi etici che le accompagnano. Il protocollo-Dulbecco (o Soluzione Tnsa) non è mai stato attuato nel nostro Paese.

Ha detto di lui il premio Nobel Salvador Luria che lo chiamò negli USA: “La cosa migliore che ho fatto per la genetica è stato portarvi Dulbecco”.

Se ne è andato un grande scienziato, un grande uomo, un grande italiano.
Ma la vera notizia è che un uomo simile sia vissuto.

 

Ciò che mi dispiace profondamente è toccare con mano l’immobilismo di un’Italia che sembra non curarsi della ricerca scientifica, esattamente come nel dopoguerra.
Oggi mi fa male vedere che, dopo oltre 60 anni, la situazione di crisi della ricerca scientifica in Italia non è cambiata, anzi.
L’Italia rischia, molto di più che negli anni ’50, di rimanere esclusa definitivamente dal gruppo di Paesi che concorrono al progresso scientifico e civile.

Io non ho la ricetta per salvare la ricerca scientifica italiana, ma proprio come “emigrato della ricerca” posso dire che i modelli ci sono, anche vicino ai nostri confini.
Basterebbe iniziare a riflettere”

Da una lettera di Renato Dulbecco a Umberto Veronesi, 2008

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