lunedì
16 Giugno 2025
Rubrica Eppur si muove

Ricercatore: Lavoro o Missione?

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Oggi, Festa del Lavoro, vorrei parlare dei ricercatori italiani. In particolare i ricercatori in materie scientifiche.

In Italia non c’è futuro per i ricercatori, tutti lo sanno. Anche se pochi se ne interessano.
Non c’è neppure il presente però. Per i ricercatori precari esiste solo un lunghissimo limbo fatto di obbedienza, attesa, promesse fasulle, promesse sincere ma disattese “perché la nuova finanziaria ha tagliato altre risorse” o perché “quello scampolo di borsa di studio è stato riassorbito”, oppure “perché il posto del professore ordinario andato in pensione è stato riassegnato al 20%”, oppure…
C’è sempre un oppure per i ricercatori italiani, che pure svolgono un lavoro di altissima qualificazione frutto di decenni di studi. Si accontentano di stipendi ridicoli se confrontati agli altri Paesi, si accollano compiti non loro (come quello dell’insegnamento!), senza diritti, sempre sotto il ricatto di chi può trovare un varco anche per te in questo mondo.
Viene da chiedersi se in Italia i ricercatori sono considerati lavoratori.

La situazione dell’Università in Italia è drammatica. Frutto di decenni di abbandono, quando non di sistematico smantellamento.
Tutti parlano di qualità e merito, e intanto si tagliano gli investimenti già gravemente anemici e si intorbidiscono i metodi di assunzione. Come si può pensare di alzare la qualità della ricerca in Italia se si investe meno dell’1% del PIL, mentre Stati Uniti e Europa Occidentale stanno al 3%, e stati come Israele quasi al 5%?

Tuttavia non è solo un problema di fondi, ma di fondo.
Del ruolo che l’Università deve avere nella società e nell’economia di un Paese.
Formazione della persona e del pensiero, veicolo di nuove idee e punta di diamante nel dialogo con la società produttiva, che per affrontare le nuove sfide che questo mondo globale ci propone può competere solo puntando sulla qualità e sul sapere dietro ogni prodotto? Oppure spesa improduttiva?
Che risposta si è dato il Paese?
Da noi la percentuale di laureati è al 14%, la metà esatta della media OCSE e lontanissimi da quel 40% fissato dall’Europa come obiettivo per il 2020.
I dottori di ricerca non si sa neppure cosa sono (voi lo sapete?), figuriamoci se si sa cosa farsene. E qualcuno ha anche il coraggio di dire che da noi ci sono troppi laureati, che non servono (cit. ex-ministro, non chiacchiera da bar).

Oggi, Festa del Lavoro, vorrei che si parlasse anche delle richieste dei ricercatori italiani, che chiedono solo di difendere i (pochi) diritti acquisiti e rivendicano quelli che per altri sono la normalità (pochi anche questi, solo minima decenza). E ai quali piacerebbe che altri si interessassero a loro e ai loro diritti. Per sentirsi meno soli, quantomeno.

Riccardo Giacconi, (Genova, 6 ottobre 1931) è un astrofisico italiano, Premio Nobel per la Fisica nel 2002. Attualmente professore alla Johns Hopkins e primo ricercatore per il progetto Chandra Deep Field-South con il Chandra X-ray Observatory della NASACome disse Riccardo Giacconi: “Finché in Italia fare il ricercatore non sarà considerata una professione come le altre, ma piuttosto una missione, come per frati e preti, non ci sarà neppure futuro per la Ricerca del Paese. Essa dovrebbe attrarre i cervelli migliori e valorizzarli, invece li mortifica e li costringe ad emigrare regalando ad altre nazioni la nostra materia prima migliore. E chi resta non è necessariamente il migliore, ma il più tenace, il più raccomandato, il più manipolato.”

Parola* di un Premio Nobel, di uno che è fuggito dall’Italia per gli Stati Uniti nel 1956 a 25 anni con una laurea in Fisica in tasca, dove negli Stati Uniti a 29 anni hanno affidato un intero gruppo di ricerca con milioni di dollari da gestire. Di colui che ha fondato l’astronomia a raggi X che ora da lavoro a decine di migliaia di persone.
Ma di cui noi non abbiamo saputo cosa farcene.

*tra le poche parole di Giacconi pronunciate in italiano, siccome Giacconi si rifiuta per protesta di parlare l’idioma italico da decenni. Queste provengono da un’intervista con Piero Angela dopo l’attribuzione del Nobel, nel 2002.

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