Ci risiamo. Ciclicamente il tema ritorna. Diffamazione nei commenti online, sui social network o negli spazi riservati ai lettori sui siti delle testate di informazione come il nostro. Questa volta a riportare tutto agli onori della cronaca è la notizia di una dozzina di querele presentate dai soci di un locale che in un anno e mezzo di attività non ha avuto vita facile tra multe delle autorità e ostracismo dei vicini di casa. Pare, ascoltando quello che dichiarano i querelanti, che tutto nasca dal voler dare volti a chi usa pseudonimi online. Ammesso che la cosa possa anche non avere un valore vagamente repressivo, perché tra i querelati ci sono persone che il nome e il cognome invece l’hanno messo? Quelli basta contattarli su Facebook da dove arrivano i presunti commenti diffamatori (se lo scopo è esporre le proprie ragioni). Poi sulla partita c’è la puntura di Alvaro Ancisi (Lpr): chi diffama dietro un nickname va smascherato perché esporre il suo nome è la punizione migliore. Sembra quasi suonare come colpirne uno per educarne cento. Ma come dice il consigliere comunale sarà R&D che agita il drappo rosso quando vede il suo nome. Ma l’educazione all’utilizzo moderato dei nuovi mezzi di comunicazione (scoop: internet non sparirà) passa attraverso la querela di uno discoteca, anzi di un music bar?
Condividi