Oggi Hera cambia Statuto e, con una sfida in cui la finanza ha la meglio sulla matematica tradizionalmente intesa, permetterà ai soci pubblici di mantenerne il controllo anche se la proprietà delle azioni dovesse scendere sotto il 51 pecento e arrivare al 38 percento. La Cgil (e la sinistra) si dicono contrari, parlano di primo passo verso una privatizzazione. La Cisl invece sposta il discorso e dice, non importa questa faccenda della proprietà delle azioni, cogliamo l’attimo per far entrare invece i lavoratori nel cda. E il Pd che fa? Tra Cgil e Cisl sceglie la seconda, a suo modo un segno dei tempi che corrono. Il segretario provinciale Michele de Pascale dice basta a «un dibattito sterile, dominato da localismo e demagogia» e che bisogna lavorare per rendere «più vicina ai bisogni dei cittadini e della tutela dell’ambiente un’azienda che deve cambiare e innovarsi ma è già oggi fra le esperienze migliori in Italia». Perfetto, ottimo. Perché tutto questo dibattito non si sia fatto prima, non è dato sapere. Perché dovrebbe essere più facile adesso nemmeno. Di certo c’è che per ora i lavoratori non entreranno nel cda. Né si sta parlando di come Hera sarà più vicina ai cittadini. Oggi si modifica lo Statuto per permettere ai Comuni che lo volessero di vendere più azioni senza perdere il controllo a maggioranza pubblica. E nient’altro.
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