A proposito di una piazza multiculturale in Darsena. Il tema è stato al centro di un curioso “siparietto“ fra il sindaco Matteucci e Cristina Muti, in occasione della presentazione dell’edizione 2014 del Ravenna Festival. Matteucci ha rievocato una delle frasi pronunciate dopo il vittorioso ingresso della nostra città fra le finaliste per la capitale europea della cultura: «…I protagonisti di “Ravenna 2019“ saranno quei bambini che avevano 8 anni quando abbiamo deciso questa sfida che nel 2019, appunto, avranno 20 anni. Da qui ad allora il vecchio porto comincerà a trasformarsi nella nuova Darsena di città. In una delle sue piazze vorrei un segno architettonico che testimoni il valore della nostra Repubblica laica e su tre lati una chiesa cattolica, una sinagoga, una moschea…». Un’idea di apertura multiculturale – ha ammiccato più volte il sindaco – fatta propria su di una suggestione che la signora del Festival aveva lanciato qualche anno prima in occasione degli Stati Generali della Cultura.
La precisazione di Cristina Muti però non si è fatta attendere: «Caro Fabrizio, non è proprio così. Se teniamo separate le culture e le religioni, rischiamo che continuino a “tirarsi i sassi fra loro“. Forse è un’utopia ma io immaginavo un’unica casa delle culture nella darsena, affacciata sull’acqua, dove pregare, meditare e studiare le religioni, in un confronto pacifico fra diverse spiritualità…».
Interpretazione chiarita? Quasi…
Ma resta un un equivoco di fondo. In un Paese incarognito e un una città semiparalizzata dall’emorragia di risorse, dall’ignavia e dalla resistenza al cambiamento, della nuova Darsena, così com’è prefigurata, non c’è traccia. E probabilmente, questa bella piazza – vista in un modo o nell’altro – non si farà mai. Dato il tema e la temperie, si addice il motto: “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni“.
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