Da una parte il teatrino dall’altra il teatro: se in Municipio qualche giorno fa son “volati gli stracci” in occasione dell’ultima, stanca, celebrazione rituale della Liberazione di Ravenna, a pochi passi, sul palco dell’Alighieri, si preparava l’opera “Il viaggio di Roberto”, tragica storia di un ragazzino deportato e morto nel lager di Auschwitz. La misera politica attuale, con il provocatorio discorso di Ancarani (Fi), al cospetto dei partigiani dell’Anpi, ha dimostrato tutti i limiti dell’antagonismo ideologico che 70 anni dopo la fine della guerra sopravvive al mutare delle generazioni, alimentando risentimenti e indignazione. La stessa presidente del Consiglio Comunale Livia Molducci, oltre lo sdegno per l’accaduto si è convinta «che si debba trovare un nuovo modo di fare memoria anche del giorno della Liberazione». Ebbene, rispetto al teatrino della politica, la rappresentazione teatrale del dramma dello scolaro ebreo del “Mordani“, Roberto Bachi, vittima dello sterminio programmato dai nazifascisti, ha coinvolto (in scena e fra il pubblico) molti più ravennati rispetto alle cerimonie ufficiali sul valore della Liberazione. Perché è con la testimonianza e la commozione trasmessa da questa creazione artistica che forse si è trasferita, in modo più autentico e fra generazioni diverse, la memoria e il senso della dignità umana e della lotta per la libertà.
Condividi