La lettera che condannò Cesare Battisti

Laguna (Brasile), ore 3.42 am. «Signore, signore, un’emergenza!». Il sindaco Célio Antonio, quella notte, venne svegliato di soprassalto da uno dei suoi fidi collaboratori, piombato nella camera reale per recapitargli una lettera arrivata dalla lontana Europa. Ma aveva fatto bene, il suo fido, a non aspettare la mattina dopo. Non bisognava perdere tempo. La lettera, infatti, arrivava da Ravenna. «La nostra città gemellata nel nome di Anita», pensò Célio con un pizzico di orgoglio, senza però immaginare in quali guai si fosse cacciato. La lettera, infatti, non gli lasciava margini di manovra, doveva vestirsi in tutta fretta e dare ordine di preparare immediatamente l’auto blu per la capitale. «Devo parlare con la presidente al più presto», ragionava Célio, stringendo tra le mani la lettera. «Devo convincerla ad estradarlo, me lo chiedono Fabrizio e Giannantonio». E fu così che, nel lontano 2011, il Brasile decise di consegnare l’ex terrorista Cesare Battisti all’Italia.

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