Adesso che tutti parlano del caso Sallusti e della libertà di stampa, noi vogliamo raccontarvi la storia di un collega di una testata locale. Non faremo il nome, perché potrebbe essere chiunque di noi. Un giorno scrive un articolo su una vicenda giudiziaria di un noto locale notturno e viene querelato. Due anni dopo l’articolo il giudice stabilisce che non c’è diffamazione perché i fatti, a differenza di quelli raccontati dall’articolo che Sallusti in qualità di direttore non evitò di pubblicare, sono veri. Non c’è diffamazione nell’articolo del collega locale. Lui è innocente però gli tocca comunque pagarsi l’avvocato che l’ha difeso. Però ogni anno a gennaio versa cento euro per continuare a essere giornalista a un ordine professionale che in casi come il suo si guarda bene dall’intervenire, mentre non radia e non sospende un direttore che pubblica notizie false e diffamatorie e rifiuta di darne la rettifica. Cosa mina di più la qualità e la libertà della nostra stampa? Sallusti libero di continuare a fare le porcate che ha fatto o un precario che la prossima volta si autocensurerà per non rischiare di doversi pagare l’avvocato anche se ha ragione? Boh, parliamo pure del caso Sallusti. Però, permettetecelo: no, non siamo tutti Sallusti.
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