Un balletto? Una lotta? Proditoria sodomia? C’è addirittura chi ci vede uno scontro tra fazioni politiche: i rossi che fottono i gialli. L’interpretazione della vignetta di Gianluca Costantini sullo stemma comunale, pubblicata recentemente dal nostro settimanale – che ha fatto infuriare il sindaco Matteucci – è discutibile ma non è inequivocabile.
Dal riso all’indignazione. È l’effetto satira, che da Giovenale a Swift, dal “Male“ a “Cuore“ a Vauro, tanto per citare esempi noti e vicini nel tempo, è sempre “brutta, sporca e cattiva“. La satira dileggia, sconcerta e inevitabilmente offende chi colpisce. Anche di striscio, come una frusta. Quindi ci sta tutta la sdegnata reprimenda e la protesta del Sindaco, non fosse altro perché istituzionalmente deve difendere il simbolo collettivo del gonfalone di Ravenna. C’era da aspettarselo. Tuttavia ci sembra esagerata una richiesta di abiura: chiedere alla satira di scusarsi per le sue “malefatte“ è una contraddizione in termini.
Ammesso e non concesso che non si riconosca più la satira come una forma, suppur estrema, di libertà di espressione contro il potere e i suoi simulacri. E che la satira non abbia più diritto di cittadinanza nel nostro, seppur sgangherato, esercizio della democrazia.
Detto per inciso: la satira è un diritto costituzionale, che in Italia è garantito dagli articoli 21 e 33 della Carta Costituzionale.
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