“Saluti da Brescello” delle Albe, all’origine di “Va pensiero” ma anti-retorico, più lieve e ironico

Marco Martinelli

Marco Martinelli, drammaturgo e regista del Teatro delle Albe

Sarebbe un errore critico cedere alla tentazione di definire Saluti da Brescello un bignami di Va pensiero. Il rapporto che lega i due spettacoli è più sfumato, e mai come in questo caso è evidente come la forma di uno spettacolo determini in larga misura la fruizione del suo contenuto.

Sebbene la vicenda narrata sia la stessa – il processo di infiltrazione mafiosa in Emilia-Romagna attraverso la vera storia del vigile urbano Donato Ungaro –, e nonostante Saluti da Brescello condensi in 50 minuti i materiali narrativi che riempivano le quasi tre ore di Va Pensiero, affermare che questi due spettacoli stiano fra loro in una relazione metonimica significa non aver compreso le profonde differenze che li distinguono.

In primis, una differenza tonale. La nota persistente di Va Pensiero era quella epico-tragica. La drammaturgia di Martinelli si concentrava soprattutto sulle relazioni fra i personaggi, sull’orchestrazione di una polifonia complessa e dinamica, immersa nell’atmosfera plumbea di una pianura Padana mangiata dalle nebbie.
Fin dai primissimi quadri scenici la sensazione era quella di trovarsi al cospetto di uno spettacolo concepito già per il grande schermo, con i suoi “cattivi” convincenti, l’intreccio serrato, le scene di raccordo. Quasi si poteva leggere in controluce la voglia registica di catturare i campi lunghi dello sterminato orizzonte padano – e chissà che le Albe non stiano già pensando a una traduzione cinematografica…

Il tono di Saluti da Brescello (che ha debutto in prima nazionale al Rasi lo scorso 17 settembre) non potrebbe essere più distante. Qui l’intera vicenda è alleggerita dal filtro dell’ironia, da una leggerezza venata di malinconia e amarezza. Per restare in campo cinematografico, Saluti da Brescello riprende lo stile e i tempi della commedia all’italiana, con la sua capacità di alleggerire il tragico senza per questo risparmiarsi la feroce critica dell’esistente.

L’afflato lirico che riempiva i quadri di Va pensiero viene subito spazzato via dall’immagine iniziale, facendo capire allo spettatore che questo è un territorio diverso. Peppone e Don Camillo, i numi tutelari di Brescello, si scambiano un saluto poco convinto, pietrificati nelle ridicole pose delle due statue che ancora oggi si possono ammirare agli estremi della piazza del paese.
La storia di Ungaro viene ripercorsa nel dialogo surreale fra le due statue, che una notte prendono vita per piangere il destino del ridente paesino emiliano. “Che vergogna”, è la prima frase dello spettacolo, che sfugge ai denti stretti di un Don Camillo inaspettatamente combattivo.
La storia di corruzione e decadenza politica del comune emiliano – il primo sciolto per infiltrazione mafiosa, nella nostra regione – viene così vestita del tono a volte apertamente comico, a volte più urticante, di questo dialogo fra i due amici-nemici di Guareschi. Il risultato del testo di Martinelli è quello di riuscire ad avvicinare la storia al nostro quotidiano, come se il pubblico la sentisse raccontare, convincente e viva, dalla bocca di due anziani “umarell” di Brescello, fra un lazzo, un battibecco e una punzecchiatura salace.

Ai fini di questa resa, la scelta di affidare i due ruoli alla coppia formata da Luigi Dadina e Gianni Parmiani si rivela più che convincente. Il pericolo, in questo caso, era quello di cadere nella bidimensionalità, facendo di Peppone e Don Camillo due silhouette statiche. Dadina-Peppone e Parmiani-Don Camillo riescono invece a dare profondità ai personaggi, mostrando chiaroscuri di debolezze e sfumature psicologiche inaspettate.
Dadina è un Peppone goffo ma poetico, malinconico ma deciso, e rappresenta il polo sognante del duo; Parmiani veste invece il talare di un Don Camillo energico, ne esalta il lato pratico e realista fin quasi all’invettiva: penso soprattutto ai rilievi comici sui turisti e sui loro selfie.

Una nota obbligata sulla bellezza del disegno luci, opera di Dennis Masotti, che riesce a valorizzare la bellezza ruvida dell’abside di Santa Chiara e ad arricchire di magia i volti dei due protagonisti: quello pietroso di Dadina e quello più pacioso di Gianni Parmiani.

Saluti da Brescello riesce insomma a raccontare la triste attualità in un modo singolarmente anti-retorico. Dribbla allo stesso tempo il pericolo del piagnisteo e quello della semplificazione, ed evita così di cadere in tentazioni moraliste. Perché non si tratta semplicemente di condannare la mafia, il suo schifo, la sua prepotenza infantile; si tratta di comprendere la latenza “a-geografica” del fenomeno, ovvero di capire che la mafiosità è una malattia auto-immune di questo paese e non una malaria esotica d’importazione.

 

Saluti da Brescello
drammaturgia e regìa Marco Martinelli
con Luigi Dadina e Gianni Parmiani
tecnico luci e audio Dennis Masotti
produzione Teatro delle Albe / Ravenna Teatro

Visto al Rasi il 20 settembre 2018

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