Terrorismo all’italiana. Con la commedia di CapoTrave l’ossessione della sicurezza tocca il ridicolo

Lotta Al Terrore CapotraveUno degli effetti più tipici di una commedia ben riuscita si può rintracciare nell’esorcismo delle nostre ossessioni. Le paure più inconfessabili, quando ben rappresentate, precipitano al fondo della soluzione, si solidificano, si fanno manifeste. Allora ridiamo dei mali del secolo, ne comprendiamo l’insensatezza, riconosciamo la loro influenza subliminale nelle nostre vite. È un tentativo di neutralizzarli.

Da Aristofane a Molière, da Allen a Risi, tanta della migliore commedia prodotta in Occidente si è concentrata sul negativo per cercare di arginarlo, denunciandolo e ridicolizzandolo.

La lotta al terrore, dei biturgensi CapoTrave, s’inserisce in questo filone. La lente dello spettacolo, che ha debuttato nell’estate nel 2017, analizza la nostra ossessione per la sicurezza, la paura degli attentati che da oramai un ventennio attraversa l’Europa puntellando le barricate reazionarie dei sovranisti.

Siamo in un placido paesino della provincia italiana: un terrorista, armato con una cintura esplosiva, tiene in ostaggio una trentina di persona. In Comune, tempestati dalle chiamate di carabinieri, giornalisti e privati cittadini, tre personaggi cercano di fronteggiare la difficile situazione: la segretaria del sindaco (Gioia Salvatori), che alterna momenti di lucidità a crisi isteriche; il pavido vicesindaco (Simone Faloppa), verosimilmente progressista, che come la sinistra italiana è totalmente impreparato a fronteggiare le emergenze; un consigliere leghista logorroico e celodurista (Gabriele Paolocà), intrappolato nella sua miserevole propaganda xenofoba. Il sindaco è irreperibile, nel bel mezzo di una settimana bianca.

Costretti a una convivenza forzata fuori dall’orario lavorativo, i tre personaggi si barcamenano come meglio possono nell’emergenza, ma inesorabilmente il tentativo di rimanere lucidi fallisce. Emerge tutta la limitatezza di queste psicologie – non siamo davanti a caricature, ma piuttosto a tipi umani verosimili, nel solco della commedia all’italiana – e le piccole miserie personali si intrecciano alla tragedia che sta avvenendo fuori da quella stanza istituzionale.

Perché tutto avviene fuori in questo spettacolo; tutto avviene a insaputa dei personaggi, che si trovano così nella stessa condizione del pubblico. La realtà piomba dentro la sala comunale mediata, sotto forma di continue telefonate. Non vedremo mai il terrorista, ma solo l’effetto delle sue azioni, rifratto nell’agitazione di questi impiegatucci impreparati all’eroismo. Invece di scendere in piazza ed affrontare il problema di petto, i rappresentanti dell’istituzione si barricano nell’ufficio, arrivando a bloccare la porta con la scrivania. La realtà diventa un’allusione costante, deformata dai pregiudizi dei tre protagonisti, che si muovono al centro della sala attorniati dal pubblico come tre insetti sotto lo sguardo dell’entomologo.

Questa scelta drammaturgica di Lucia Franchi e Luca Ricci è senza dubbio vincente e libera tutta la carica comica dell’affiatato terzetto. L’ossessione claustrofobica e il precipitare inesorabile degli eventi mi ha ricordato un pezzo di Yasmina Reza di qualche anno fa, Le Dieu du carnage, portato al cinema da Polański. I due lavori sono accomunati dallo stesso gusto per il conflitto verbale, dalla “grettezza brillante” dei personaggi e dalla scrittura, piana ma verosimile.

Verosimile è la codardia del vicesindaco, che arriva a ipotizzare di travestire una testa di cuoio da sindaco per evitare il confronto diretto col terrorista; verosimile è la crisi di nervi della segreteria quando le riferiscono che i gazebo del Comune sono stati utilizzati infrangendo i regolamenti; verosimili le tirate xenofobe del consigliere d’opposizione, che condanna gli islamici perché non mangiano pane e salame come lui ma che finisce per non credere alla versione della polizia. «Impossibile che il terrorista sia il figlio del fruttivendolo», trasecola, «è un così bravo ragazzo»: battuta che compendia in poche parole la preparazione culturale media della destra italiana.

Tutto procede bene fino alle ultime battute, quando il finale tragico piomba sulla scena come un corpo estraneo. Non si mette in dubbio la scelta di far finire male lo spettacolo (tecnica usata spesso nella commedia all’italiana), quanto piuttosto la frettolosità di questo scioglimento, che lascia il pubblico spaesato.

Infelicissima invece la scelta del luogo di questa replica ravennate. Purtroppo il salone nobile di Palazzo Rasponi, col suo soffitto alto, ha reso la fruizione de La lotta al terrore difficile e faticosa. Spesso l’eco non permetteva di isolare le battute; quasi tutti gli apporti delle voci esterne sono risultati, almeno per il sottoscritto, impossibili da decrittare. Peccato.

 

La lotta al terrore
ideazione e regìa di Lucia Franchi e Luca Ricci
con Simone Faloppa, Gabriele Paolocà, Gioia Salvatori
voci off Massimo Boncompagni, Andrea Merendelli, Irene Splendorini
costumi Lucia Franchi
organizzazione Massimo Dottorini
direzione tecnica Luca Giovagnoli
scene e regìa Luca Ricci
produzione CapoTrave / Kilowatt – Infinito
con il sostegno di Comune di Sansepolcro, Regione Toscana, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

Visto a Palazzo Rasponi il 7 novembre 2018

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