La valigia è andato in scena a Russi: ci ha convinto
Ci sono scrittori che, una volta scoperti, stringono con noi un patto di sangue e non ci lasciano più. Hanno scritto libri bellissimi e li conoscono in pochi; per questo sviluppiamo con loro un rapporto di esclusività. Custodiamo i loro libri gelosamente: sono solo nostri. Se li consigliamo, lo facciamo soltanto a persone fidate. Non vogliamo regalare il nostro tesoro al primo che passa. Sentirli citare da qualcuno che non sopportiamo è un trauma paragonabile a un tradimento; leggere una critica, anche blanda, ai loro libri, ci suona come un vilipendio. Sergej Dovlatov è uno di questi scrittori.
Questa sorta di grosso Pulcinella sovietico, mercuriale e malinconico, nato nel ’41 e scomparso a soli 48 anni, esule a New York, praticamente ignorato in patria fino alla caduta del Muro, è stato probabilmente la voce più originale della letteratura russa degli anni Ottanta. Dovlatov, nei suoi libri, ha parlato quasi sempre di sé stesso, ovvero delle difficoltà esistenziali di un intellettuale pigro e incostante che cerca di sopravvivere in una Russia sovietica ormai rassegnata allo sbriciolamento.
E lo ha fatto con uno stile unico. Stralunate e umoristiche, non c’è nelle sue pagine nessuna traccia di rabbia, di denuncia, di rimostranza. Dovlatov non era uno scrittore eroico, engagé nel senso classico del termine. Dovlatov è stato prima di tutto un osservatore unico delle contraddizioni umane; uno scrittore che ha fatto sua la lezione di Čechov: anche la più ributtante carogna, nelle sue pagine, è mostrata nuda, inerme, simile a noi. Non si sa come, alla fine vogliamo bene anche a lei.
Per tutti questi motivi, e facendo io parte del fan club Dovlatov, ero particolarmente preoccupato prima dello spettacolo La valigia, di e con Giuseppe Battiston, andato in scena al Comunale di Russi (ottima la programmazione di quest’anno) lo scorso 15 novembre. Preoccupato perché basta un niente, a teatro, per svilire una bella pagina, per sporcare di retorica facilona un personaggio, e può succedere spesso anche al migliore degli attori. Figuriamoci poi se il testo di partenza è uno dei più belli ed esili di Dovlatov.
Per fortuna, i miei timori sono stati sconfessati. La valigia (tratto dall’omonimo libro del 1986 che si può leggere per Sellerio nella meravigliosa traduzione di Laura Salmon) è uno spettacolo riuscito, divertente e doloroso allo stesso tempo. E se lo è, lo è soprattutto per la grande sensibilità attoriale che ha dimostrato Battiston in questa messa in scena.
Più della scenografia, più della musica, più dei costumi, più delle scelte registiche, lo spettacolo si regge sulle spalle dell’attore friulano, che è riuscito a mettersi a servizio di Dovlatov senza mai strafare, senza inutili vanità; accogliendo anzi, nella sua semplicità, lo stesso sguardo dello scrittore. Ne è venuto fuori un monologo corale, pieno di personaggi e di voci, costruito a quadri scelti fra le più belle delle varie storie contenute nel libro, più qualche breve inserto da altri lavori di Dovlatov (su tutti, ho riconosciuto qualche passaggio da Il parco di Puškin).
In breve, la valigia del titolo è quella dell’intellettuale russo emigrato in America. Una valigia leggera, che contiene otto oggetti comuni, ognuno dei quali è legato a una storia della vita precedente, in Unione Sovietica: calzini, colbacchi, guanti, camicie che ci parlano con umorismo e malinconia di un Paese che ci sembra oggi un pianeta alieno, terribile e allo stesso tempo ingenuo; macchiato di sangue e allo stesso tempo puro come la neve.
La valigia. In viaggio con Dovlatov. Un torero squalificato
tratto da La Valigia di Sergei Dovlatov
traduzione Laura Salmon
adattamento Paola Rota e Giuseppe Battiston
con Giuseppe Battiston
scena Nicolas Bovey
costumi Vanessa Sannino
luci Andrea Violato
suono e musica Angelo Elle
regia Paola Rota
Visto al teatro Comunale di Russi il 15 novembre 2024