“Bobino” di Gianni e Paolo Parmiani: quando il cabaret in romagnolo insegna cos’è la psicosi e come va trattata Seguici su Telegram e resta aggiornato Lo sketch ha due protagonisti: uno psichiatra e un suo paziente, di nome Libero. Si svolge in una clinica. Il dottore deve valutare lo stato mentale di Libero, per decidere se dimetterlo o trattenerlo ancora in reparto. Effettua tre colloqui, a distanza di un mese l’uno dall’altro. Il dottore ripropone sempre le stesse domande. Nei primi due colloqui, Libero viene bocciato sempre all’ultima domanda. Quella che riguarda un oggetto che tiene tra le mani e accarezza: un berretto di lana. Primo colloquio: il dottore rivolgendosi, in quinta, ad un’ipotetica infermiera dice:“Avanti il prossimo”. Si presenta Libero, il paziente. “Come ti chiami?”, chiede il medico. “Libero Dell’Algia. Per chi legge da sinistra a destra, Dell’Algia Libero, per chi legge da destra a sinistra”, risponde. Segue la seconda domanda: “Dove è nato Garibaldi?”. Libero ci pensa un po’ e poi sicuro di sé: “Giuseppe Garibaldi è nato a Nizza nel 1807!”. “Bravissimo” replica il dottore, che poi aggiunge: “E quanto fa tre per otto?” “Ventiquattro!” risponde il ricoverato, altrettanto sicuro. Alla terza domanda, il dottore guarda la berretta che il paziente tiene in mano e dice: “Potrai considerarti completamente guarito solo se risponderai a quest’ultima domanda: Cosa è quella cosa che tieni in mano?” “È facile, è il mio cane Bobino”, risponde Libero. Il dottore sbraita tra l’arrabbiato e il deluso. Lo rispedisce in reparto, ma gli dà appuntamento per il mese successivo. Al nuovo appuntamento il medico ripropone le prime due domande. Libero risponde prontissimo, anche perché sono le stesse della volta precedente. Alla terza, quella sull’oggetto che tiene in mano, la risposta continua ed essere deludente per il medico. Libero ribadisce che sempre di Bobino si tratta. Forse non è stato riconosciuto perché è più vecchio di un mese. Il Dottore, sconsolato neanche lo lascia finire di parlare che lo rispedisce in reparto. Terza visita, di nuovo il mese successivo. Il protocollo è lo stesso, alla domanda su dove sia nato Garibaldi, Libero risponde scattante: “Sempre a Nizza. A Nizza. Non è che cambia da un mese all’altro”. Non consentendo al dottore neppure di formulare la domanda successiva, quella di aritmetica. Risponde rapido: “Ventiquattro!!!” Per poi rivolgersi allo psichiatra, in un misto di sarcasmo e vera curiosità: “Lei ha dovuto studiare molto per fare il mestiere che fa?”… Siamo all’ultima domanda. Quella dirimente, quella risolutiva. “Che cos’è che tiene in mano?” domanda il medico. Libero lo guarda, guarda il berretto che stringe e accarezza, poi riguarda il medico, e dice “Può sembrare… ma non è… È una semplice berrettina”. Il dottore è radioso. Rivolto in quinta, all’infermiera: “Ecco il trionfo della scienza medica! Ecco il trionfo della mia professionalità e del mio studio. Signorina, Libero può fare le valigie”. Lo psichiatra esce di scena. Rimane Libero da solo. Sta zitto un attimo. Si guarda attorno circospetto, poi tira fuori dalla tasca un guinzaglio che lega con cura alla berrettina. Fa qualche passo per uscire, trascinando con sé la berretta col guinzaglio, quindi si ferma e dice guardando in basso, rivolto alla berrettina “Te l’avevo detto ‘tu stai zittino, lascia fare a me. Hai visto Bobino che ce l’abbiamo fatta?”. Che cosa ci insegna questo sketch teatrale sulla psicologia e su ciò che significa prendersi carico di un paziente? Innanzitutto tratteggia un ritratto verosimile di una persona psicotica. Partiamo dalla definizione. Chi è uno psicotico? È una persona che soffre di un disturbo che gli causa alterazione nella percezione e nell’interpretazione della realtà. Quindi una persona che può ritenere che la propria berretta sia in realtà un cane. Lo sketch sfata un luogo comune. Ingenuamente si pensa che una persona che ritiene la propria berretta essere un cane, sia mentalmente deficitaria su tutti i livelli. Non è così. Per esempio io ebbi un paziente che era convinto di essere intercettato da apparecchi elettronici nascosti nei lampioni stradali, tuttavia era estremamente efficace e competente in tanti altri aspetti psichici. Oltre ad avere buon senso in generale, era bravissimo a far di conto. Meglio di un commercialista. La sua psicosi era focalizzata sui lampioni. Allo stesso modo Libero ha cultura, sa infatti dove è nato Garibaldi, ha senso dell’umorismo, che mostra quando chiede al dottore se ha dovuto studiare molto per porre quelle domande banali, conosce la matematica e dimostra senso di previsione quando anticipa il risultato dell’operazione. “Bobino” si presta anche per riflettere sulla figura del dottore. Premesso che le prime due domande sono una gag, almeno si spera, la terza domanda in sé, in particolare l’atteggiamento che sottende, non è così improbabile, purtroppo. Cosa rivela la domanda che chiede a Libero cosa stia reggendo in mano? Rivela scarso interesse sul perché Libero veda la berrettina come un cane. Anzi, perché la berret- tina sia per lui il suo cane: il suo Bobino. Solo un approccio terapeutico che parte dalla relazione con il paziente, dalla condivisione, da un sincero interesse per il mondo suo intrapsichico, per i suoi oggetti interni, consente un percorso efficace e promettente. Al contrario, se il medico si barrica con presunzione dietro il proprio camice promuove nel paziente di turno strategie atte a gabbarlo, come ha fatto Libero quando ha detto allo psichiatra che poteva sembrare un cane, ma che in realtà era una berretta. Il fallimento è del medico, che viene escluso per colpa di se stesso e senza esserne neppure consapevole. Lo psichiatra è responsabile della mancata alleanza terapeutica, causata, come nello sketch di “Bobino”, dalla superbia, dalla poca intelligenza e dalla mancanza di curiosità e umanità. Total0 0 0 0 Seguici su Telegram e resta aggiornato leggi gli altri post di: Lo sguardo dello psicologo