Quella supina acquiescenza e le pressioni laiciste

Questa settimana voglio togliermi il cappello di fronte al “vaticanista” di un quotidiano locale e al suo articolo-capolavoro di cui parlano un po’ tutti, quello in cui di fatto prende le parti della Curia (pur senza ammetterlo, in un pezzo inattaccabile) nell’inchiesta Galletti Abbiosi, all’indomani della notizia sul vescovo indagato. Ma mi fermo qui e lascio spazio alle sue parole.

«[…] l’Archidiocesi uscirà dal silenzio ufficiale che si è imposta fin dall’inizio dell’indagine, nel 2009. Un’assenza di comunicazione da molti ritenuta ormai inopportuna e controproducente poiché tale da offrire fin troppo facilmente l’impressione all’opinione pubblica della possibile assenza o insufficienza di fatti e argomenti in grado di far vacillare le ipotesi accusatorie e che potrebbe, perciò, apparire come una sorta di supina acquiescenza nei confronti delle tesi del pm Monica Gargiulo. Ma le ragioni per le quali il silenzio è stato finora osservato sono varie. Anzitutto la notizia ha colto di sorpresa i prelati, coinvolti nel ginepraio giudiziario legato all’ex orfanotrofio diventato albergo e incerti sulle strategie di comunicazione da adottare ma inclini a tacere sia per prudenza, sia per una forma di diffidenza – pur spesso completamente pregiudiziale – nei confronti della stampa, “colpevole” di esporre con enfasi situazioni che sarebbe meglio tenere occulte perché si potrebbero affrontare con maggiore fortuna se non fossero di dominio pubblico: una diffidenza rafforzata dalla convinzione – che l’intero sistema massmediatico sia generalmente sottoposto ad una pressione editoriale anticlericale e laicista. Poi, nessun ecclesiastico ha direttamente commentato la vicenda, dall’inizio delle indagini, per un certo senso di rispetto istituzionale nei confronti dei magistrati e delle forze dell’ordine e, infine, per la secolare abitudine, propria degli uomini di Chiesa, di affrontare e gestire le situazioni più complesse e delicate con la massima riservatezza possibile, allo scopo di evitare inutili clamori: «Silentium et archivum sunt instrumenta regni», il silenzio e lo stesso archivio (cioè la raccolta di documentazione amministrativa e canonico-giudiziaria) sono gli strumenti propri del governo pastorale, raccomandava, con efficace sintesi, un protagonista illustre del Cattolicesimo del Novecento, il cardinale Giuseppe Siri. Non poche sono le perplessità, colte fra chi lavora, o frequenta assiduamente il Palazzo arcivescovile, sui modi con cui monsignor Verucchi ha appreso la notizia, venerdì scorso, del suo coinvolgimento nell’inchiesta: direttamente dai giornali la mattina […]».
Articolo tratto dal Corriere Romagna del 6 novembre

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