Un piccolo gesto contro Pupo e il principe Filiberto

“Egregio signor X, facciamo riferimento alle nostre precedenti comunicazioni per ricordarLe che a tutt’oggi non è pervenuta alcuna risposta utile alla chiusura della Sua pratica, né risulta da Lei stipulato un abbonamento alla televisione. Le confermiamo pertanto che l’Amministrazione Finanziaria dello Stato procederà agli accertamenti previsti dalla legge a carico dei detentori di apparecchi televisivi non abbonati”.
Capita a pennello la lettera della Rai che mi ricorda che non ho ancorapagato il canone. Mi arriva tra le mani, infatti, proprio mentre,facendo zapping, assisto all’esibizione (tra virgolette) di Pupo, ilprincipe Filiberto e di un tenore che Wikipedia, nelle nove righe novein cui descrive la sua vita, dice essere un elettore del Partitodemocratico. Su quattro volte che ho sintonizzato il mio televisore suSanremo in una settimana, giuro, li ho visti tre volte. La quartavolta, invece, c’era Maurizio Costanzo che parlava dello stabilimentodi Termini Imerese della Fiat con il ministro Scajola.

Insomma, è possibile che io debba pagare dei soldi per sentire cantareil principe Emanuele Filiberto di Savoia, che fino a poco tempo fa nonpoteva nemmeno mettere piede nel nostro Paese?
Il principe, tra l’altro, nella canzone dice queste cose qui: «Io credonella mia cultura e nella mia religione / per questo io non ho paura,di esprimere la mia opinione / Io sento battere più forte, il cuore diun’Italia sola / che oggi più serenamente, si specchia in tutta la suastoria».

E poi, dopo il ritornello affidato alla voce del tenore del Pd,continua così, trallallero trallallà: «Ricordo quando ero bambino,viaggiavo con la fantasia / Chiudevo gli occhi e immaginavo distringerla fra le mie braccia». Chissà se riferendosi all’Italia o aNatalia Titova.
Ma soprattutto, e scusatemi per lo spreco di spazio, non è possibileche sia permesso a Pupo di dire al principe, «Tu non potevi ritornarepur non avendo fatto niente», facendo capire che per questo spera chein futuro il nostro Paese possa essere più «normale». Sono basito.

E il festival di Sanremo, purtroppo, rappresenta bene lo stato dellanostra povera televisione pubblica. Allora - per dirla con le paroledegli Afterhours e del loro pezzo, clamorosamente fuori posto, in garaal festival dell’anno scorso - adesso facciamo «qualcosa che serva».«Che è anche per te se il tuo paese è una merda».
Ecco, al momento, ripensando al trio Pupo-Principe-TenoreDemocratico,mi sembra che non pagare il canone Rai sia davvero l’unica cosa cheserva.

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