Ironico, iperbolico, godibile Robecchi

Robecchi Torto MarcioQuarto volume della saga che vede protagonista Carlo Monterossi, questo Torto Marcio impone definitivamente di collocare la serie firmata da Alessandro Robecchi in libreria accanto a Manzini, Malvaldi, i più datati (ahimé) Santo Piazzese, fino almeno ai primi Camilleri. Anche Alessandro Robecchi infatti esce nel delizioso formato Sellerio con una serie di gialli che raccontano, nella fattispecie, una Milano degli anni contemporanei fatta di tanti volti. Robecchi nella veste di scrittore mantiene le sue qualità salienti di giornalista, autore di satira, autore di programmi televisivi: è acuto, divertente, irrimediabilmente di sinistra. La sua Milano infatti è sempre stratificata e le classi sociali che la abitano e raramente si incrociano sempre ben visibili e riconoscibili, in questo caso, in Torto Marcio, in particolare da una parte ci sono i residenti nelle case popolari, dall’altra gli immobiliaristi che costruiscono palazzi e uffici che nessuno affitterà e venderà mai come scenari tra cui si muove la trama. Nel primo romanzo a riconcorrere la stessa persona c’erano zingari di un campo rom  (particolarmente poetici) accanto a killer professionisti (esilaranti peraltro). Le trame sono sempre molto complesse, il giallo difficile da districare, le indagini portate avanti in parallelo, i personaggi che ricorrono ben tratteggiati. Carlo Monterossi non è un investigatore ma un autore televisivo assai benestante, appassionato oltremisura (in tutti i sensi) di Bob Dylan, brillante, acuto, divertente a tratti geniale e (e qui proprio non brilliamo in originalità) irrisolto e sofferente. Cionostante la sua compagnia è gradevolissima e anche se ogni tanto la caricatura sembra prendere un po’ troppo il sopravvento (vedi la Katrina che gli cura la casa che è la versione dell’est Europa dell’Adelina di Montalbano che però prepara scampi, cetrioli enormi e guacamole) e la maschera moderna, come quella della conduttrice tv trash cinica e strappalacrime Flora De Pisis, non lascia spazio a umanità, la parodia non diventa mai la chiave di lettura principale, la risata è soprattutto assicurata dalla fine ironia, dall’uso degli epiteti  autoironici, da una lingua disinvolta in cui l’iperbole ricorrente è sempre ben dosata. Chissà che, dopo Manzini, il prossimo successo della tv non diventi Carlo Monterossi. Ma non ha senso aspettare lo schermo, i libri sono appunto godibilissimi.

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