Una bella Manon Lescaut, essenziale e senza fronzoli (al netto dell’invadente orchestra “distanziata”)

Manon Lescaut Opera AlighieriVedere la storia con gli occhi di oggi è un’inclinazione che la narrazione attuale sta cavalcando, non senza incappare in errori di valutazione di cui il tempo sarà giudice. Le opere d’arte, in particolare, stanno subendo riletture che snaturano, almeno in parte, il messaggio originario che veicolavano con chiarezza, invece, ai coevi. In particolare, la questione femminile sta, non senza ragione, prendendo spazio nel dibattito quotidiano, tuttavia la volontà a tutti i costi di leggere l’arte tutta secondo questa lente trasforma l’opera nella caricatura di sé stessa, negando la sua ragione formante per perseguire ideali a essa estranei.

Un titolo operistico che rischia di divenire bandiera di questa nuova espressione è Manon Lescaut di Giacomo Puccini la cui trama non è certo la descrizione di un percorso di liberazione della donna dalla società patriarcale sebbene la deviazione iniziale dal volere famigliare possa avvalorare questa tesi, bensì altro non è che l’arco narrativo descritto dalla bramosia di ori e voluttà che caratterizza la protagonista, attorno al cui egocentrismo ronza ineluttabilmente il deuteragonista Des Grieux.
La stagione di opera e danza del teatro Alighieri di Ravenna ha offerto (il 18 febbraio 2022) una equilibrata rappresentazione della vicenda, portandone sulla scena solo la sua essenzialità, ripulita da fronzoli che non le appartengono.

Ritornare a godere dell’opera in questo particolare periodo storico, però, ha diverse implicazioni, alcune di poco conto, altre con le quali, invece, bisogna scendere a patti. Il morbo che attanaglia e ancora blocca non solo l’attività teatrale, ma la vita nel suo normale svolgimento in tutto il globo, infatti, impone alcune attenzioni che vanno dalla semplice mascherina al distanziamento. Proprio in virtù di quest’ultima norma, l’orchestra aveva abbandonato la sua normale collocazione in buca esondando in platea e occupandone circa la metà. Se per certi aspetti può essere affascinante avere a portata di occhi la compagine durante l’esecuzione di un’opera, evento assai raro, bisogna venire, però, a patti con un contro affatto secondario: la sonorità dell’orchestra, specie in un’opera che richiede una formazione così ampia, rischia davvero di coprire gli sforzi dei cantanti nel superare il muro sonoro erto dagli strumentisti che, normalmente affogati in buca, offrono una resistenza assai minore.
Ciò è quello che, purtroppo, è avvenuto nella serata ravennate, dove, nonostante gli evidenti sforzi del maestro Marco Guidarini e dei bravi componenti dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, i cantanti erano spesso mascherati dal suono che gli si parava davanti. L’unica voce che usciva (quasi) indenne da questo scontro titanico era quella della protagonista, Monica Zanettin, la quale dipingeva una Manon drammaticamente volubile, adeguata sia scenicamente sia vocalmente.

Interessante il Renato Des Grieux di Paolo Lardizzone, anche invero poco incisivo e incapace di mantenere la bella qualità degli acuti anche nel registro medio-grave, pecca ormai generalizzata tra i cantanti e diffusa in larghissima misura tra i tenori in particolare, rei di pensare solo alla prestanza dell’acuto, dimenticandosi che l’opera dura tre ore. È da segnalare, comunque, una deliziosa Tra voi belle, brune e bionde, aria assai insidiosa posta in capo all’opera e da farsi a voce (relativamente) fredda. Molto buona è l’intesa tra Zanettin e Lardizzone che regala diversi momenti di ottima eufonia.

Buona l’interpretazione di Alberto Mastromarino che rendeva palpabile l’aura non propriamente bonaria di Geronte di Ravoir senza però eccedere nella cupezza. L’altro baritono, Marcello Rosiello si cala bene nei panni di Lescaut, specialmente nel secondo atto nel quale mette in mostra un’intensità drammatica notevole. Gli altri ruoli vocali vengono un po’ fagocitati dalla già citata sonorità ciclopica dell’orchestra contro la quale nulla si può.

La regia firmata da Aldo Tarabella, per quanto evidentemente assai pensata, appare molto (forse troppo) cerebrale, con le masse di coristi che si ammucchiano ai lati della scena per far risaltare non l’azione, bensì il mutevole palazzo monumentale che solo nell’ultimo atto diverrà rupe del deserto americano. Trasportata all’inizio del Novecento, poi, la vicenda perde parte del suo fascino e della sua ragion d’essere (la deportazione per depravazione è quantomeno fuori luogo), con abiti che all’interno del palazzo di Geronte tornano a vivere nell’epoca della vicenda. Ci si può chiedere il perché, dato che una risposta non è data.

Di tutto rispetto il Coro Archè diretto da Lorenzo Biagi che, sebbene costantemente velato dalle mascherine FFP2, conserva una buona omogeneità anche nei passaggi dedicati da Puccini alle voci femminili nel primo atto, non proprio tra i più educati da eseguire.

Non si può che spendere parole di elogio per l’orchestra che, indipendentemente dalle evidenti difficoltà legate allo spazio, sfoggia colori e timbri di ottimo livello. In particolare, notevoli sono i fiati tutti e i legni in special modo (tra cui spiccano certamente i clarinetti). Il merito di questa esecuzione è da ascriversi, ovviamente, al maestro Marco Guidarini che conduce con grande sicurezza la nave in acque tranquille. Rimane solo un dubbio che potrebbe definirsi “posizionale”, ovvero come mai si sia mantenuta l’inversione tra primi e secondi violini una volta usciti dalle strettoie della buca. Forse la risposta è dovuta più all’essere avvezzi a una certa posizione che alla scelta deliberata, ma questo è un mistero destinato a rimanere senza soluzione.

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
NATURASI BILLB SEMI CECI FAGIOLI 19 – 28 04 24
CENTRALE LATTE CESENA BILLB LATTE 25 04 – 01 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24