domenica
15 Giugno 2025

La difficile arte della recensione

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«Questo spettacolo è stato davvero brutto!», «Ma cosa dici, l’ho adorato!». Questi sono solo due estremi di ciò che si può sentire alla fine di uno spettacolo. L’espressione di un parere personale è, ovviamente, sacrosanta e non merita il benché minimo disprezzo, deve essere incoraggiata perché sviluppa il senso critico del pubblico e può indirizzare le future esibizioni. È fondamentale, però, comprendere come la propria suggestione personale, frutto di una percezione esperienziale più o meno epidermica e sensuale, non possa ergersi a verità né presentarsi come recensione.

Bisognerà dividere i due piani, quello della godibilità soggettiva (già trattata) e quello della bellezza oggettiva. Le arti performative hanno il pregio di smuovere gli animi e questo è possibile grazie alla tecnica. Ciò comporta che per recensire un’esibizione è necessario fare riferimento alla tecnica per oggettivizzare (quanto più possibile) l’esecuzione. Questo processo nell’arte musicale è “facilissimo”. Ci sono, infatti, dettagli imprescindibili che non permettono diritto di replica. Il primo di questi è l’intonazione. Dato un sistema di riferimento (solitamente per la musica colta questo è il temperamento equabile con La4=442 Hz) le altezze delle note sono determinate in maniera scientifica. Qualsiasi variazione è una stonatura (salvo rarissime occasioni nelle quali le si ricerca per fini espressivi).

Il secondo è il tempo. Sentire due esecutori suonare a due tempi differenti (o non omogenei) è un dramma che non si augura al peggior nemico. Si parla di insieme, quindi. Tanto più c’è uguaglianza di intenzioni, tanto più ci sarà insieme e le lievi, inevitabili, discrepanze di attacco del suono non si percepiranno. Terzo, ma solo per il teatro musicale, l’aderenza tra azione e libretto. È evidente a tutti che se il tal personaggio canta di pugnalare la vittima e sulla scena le spara c’è qualcosa che non torna…

Questi sono i tre punti tecnici fondamentali cui si aggiunge il quarto, il più importante, che può anche rendere ininfluenti i precedenti. L’interpretazione. Come oggettivare l’interpretazione, fatto puramente soggettivo, è la vera sfida del critico. La parola con la quale questo si deve rapportare è una: coerenza. Per quanto possa piacere o meno, il critico non deve esprimere il proprio rapporto con l’esecuzione, ma deve (provare a) capire il punto di vista dell’esecutore e cercarne una coerenza col pensiero dell’autore del brano. Il critico, quindi, deve spogliarsi di sé stesso per ricercare la coerenza di altri. Facile, no?

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