La fulgida bellezza di “Così fan tutte” in scena a Ravenna, peccato per chi non c’era

Così Fan Tutte Ravenna Festival 2022

Una scena da “Così fan tutte”, Trilogia d’Autunno, Ravenna Festival 2022 (foto Mats Bäcker)

Ci sono alcuni che ritengono il teatro musicale uno spettacolo morto. Altri che, per affermarne la vitalità, incensano forzate regie che stravolgono l’ambientazione delle storie narrate portandole in distorte visioni contemporanee. Poi c’è il teatro vero: quello che è vivo, che racconta una storia universale, noncurante di certe idee di pretesa modernità e consapevole dell’acronia del messaggio artistico.

A Ravenna c’è stato un bell’esempio di questa declinazione del teatro. Andata in scena il 6 novembre sulle assi del Teatro Alighieri, Così fan tutte, ideata dalle menti di Mozart e Da Ponte, si è manifestata in tutta la sua fulgida bellezza. Una regia ispiratissima firmata da Ivan Alexandre, giocata non sul tempo, ma nello spazio, mostrava un sapientissimo uso di ogni centimetro del palcoscenico sul quale si stagliava un metapalcoscenico, teatro del gioco d’amore.
Le regie perfette non esistono, ma quando si manifestano chi ne giova di più sono gli interpreti stessi. Tutti i cantanti, infatti, dimostravano di essere perfettamente a loro agio sul palco, specialmente Robert Gleadow che, con il suo Guglielmo, giganteggiava scenicamente.
Nell’intervallo tra i due atti, però, accadeva l’impensabile. Proprio il baritono era vittima di un piccolo incidente che costringeva a un cambio incredibile. Per portare a termine la recita, il ruolo del giovane amante è stato “sdoppiato”: Romain Gilbert, assistente alla regia, agiva per i movimenti scenici, mentre Norman Patzke si occupava di cantare (in disparte sul palco) il testo mozartiano. Nonostante questo inghippo lo spettacolo non è stato intaccato nella sua bellezza.

Ana Maria Labin (leggermente indisposta, ma in scena) e José Maria Lo Monaco dipingevano con grande precisione Fiordiligi e Dorabella nonostante una poca proiezione della voce nelle frequenze più gravi. Anicio Zorzi Giustiniani nei panni di Ferrando si trasfigurava in un derviscio dalla voce appuntita, mentre i due Guglielmo (Gleadow-Patske) si dimostravano vocalmente i più in forma del cast insieme a Miriam Albano che alla sua Despina donava ottima e chiara voce. La cupa realtà di Don Alfonso era ben interpretata da Christian Federici.

L’Orchestra Cherubini suonava un po’ troppo forte, forse a causa del gesto chiaro, ma ampio, della comunque brava direttrice Tais Conte Renzetti, ma il fiore all’occhiello di questa rappresentazione è stato il Coro 1685 diretto da Antonio Greco, semplicemente meraviglioso.
In sintesi, peccato per chi non c’era!

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