mercoledì
25 Giugno 2025

Musica in tv: bene a Capodanno ma non può funzionare sempre

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La diceria vuole che, solitamente, siano gli artisti a essere (o quantomeno sembrare) fuori di testa, gente avvezza a dare i numeri. Si scopre, invece, che chi sputa cifre non siano quelli che si occupano di arte, ma coloro che si impegnano ad accenderla il primo dell’anno sulle televisioni di tutta Italia. E sì, si sta parlando di auditel. A quanto pare i due concerti che ormai da un ventennio (sic) si spartiscono a Capodanno le attenzioni auricolari degli italiani anche quest’anno hanno avuto un seguito notevole (i dati dicono Venezia 25.9% – Vienna 16,9%, palla al centro).

Questi dati, piuttosto netti e che nascondono milioni di telespettatori dietro quelle cifre, indicano quanto sia radicata nell’animo italico la tradizione musicale. Ci si aggiunge, poi, quello che si vede nel quotidiano, lo spettacolo dal vivo che ogni teatro che si rispetti, in relazione alle proprie risorse, allestisce per il bacino di utenza verso il quale si rivolge.
Ciò fa partire un ragionamento che con la musica non dovrebbe aver molto a che fare, ma che, tuttavia, è sempre stato il vero vulnus dell’arte. Il ritorno economico. E, infatti, questi risultati fanno pensare che si potrebbe avere, anzi, si dovrebbe avere, una maggior trasmissione televisiva di musica di livello. E invece no. Perché? C’è chi dice, appunto, che la musica non paghi. Che sia vero, davanti a certe platee, viene, quantomeno, da dubitarlo.

C’è un però. Un conto è sparare la Prima della Scala ogni 7 dicembre, un conto è proporre un’opera di tre ore ogni sera. Gli antichi dicevano semel in anno licet insanire, cioè che fosse concesso impazzire una sola volta all’anno. In effetti un’opera al giorno, per quanto sia un’utopia sentimentale, è un’idea destinata a fallire. Almeno oggi. E, probabilmente, anche la proposta sinfonica andrebbe incontro a simile destino. Il motivo è presto detto: non c’è più l’abitudine all’ascolto. Si considerino quanto durano le canzoni che le radio vomitano senza tregua: se arrivano a tre minuti è già tanto. Davvero si vuole proporre brani in più movimenti che oltrepassano con gran agio la mezz’ora a un pubblico la cui attenzione acustica (e non solo) è ormai da anni allenata a “una botta e via”? Evidentemente non è ragionevole.
Come suggerimento per l’anno giubilare si potrebbe, però, recuperare quel repertorio cameristico fatto di confetti che dilettavano i salotti e spalancavano porte verso mondi più complessi, ma senza la pretesa, né l’obbligo, di compiere il grande balzo. Si può fare?

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