Oggi si scriverà di un libro. Non un libro qualunque, evidentemente, ma un libro che parla di musica, anzi, anche di musica. Il volume in questione è l’ultimo prodotto dalla felice penna del più grande critico musicale d’Italia (e, forse, del mondo) Alberto Mattioli. Il titolo Il loggionista impenitente. Duemila sere all’opera non nasconde per nulla ciò di cui tratta. Mattioli, infatti, ha collezionato nella sua vita più di 2000 visioni di opere sparse per tutto il globo e in questo libro raccoglie alcune tra le più significative recensioni (e note di sala) che ha scritto nell’ultimo decennio. In queste 368 pagine non ci si annoia davvero mai, la penna del giornalista c’è e si vede tutta: lo stile è puntuto e puntuale, la prosa solida e le citazioni di grande spessore. Ci sono riferimenti a tutti i più importanti cantanti di oggi, ma non viene tralasciato nessuno dei cantanti delle epoche passate dimostrando così che Mattioli padroneggia con maestria suprema non solo la conoscenza attuale ma anche una memoria storica di rara profondità. È incredibile il numero di opere citate e la diversità di ricezione del pubblico di esse. Proprio nel libro emerge come l’Italia, sebbene si erga a paladina del melodramma, in realtà si sia (volontariamente) confinata tra quei frusti quattro titoli che richiamano pubblico, o almeno così si dice, a discapito di una sperimentazione, sia verso altre epoche precedenti al romanticismo-verismo, sia verso le opere contemporanee. Attenzione proprio qui è il punto interessante, Mattioli, infatti, afferma che l’opera non è assolutamente morta e melodrammi contemporanei sono composti, con grande successo, dappertutto tranne, indovinate dove…
C’è poi affrontata l’annosa questione della regia perché come è noto, è nodo principale di una rappresentazione operistica (almeno secondo molti). Il giornalista divide le regie in buone o cattive, e non in moderne o tradizionali. Qui bisogna, dunque, fare un passo indietro e capire in realtà davvero cosa si intenda per regia: questa, infatti, non è il costume o la scenografia, ma è tutto quell’insieme di gesti, azioni, movimenti che rendono viva l’azione scenica sottolineando il testo musicale e poetico. In quest’ottica, regia non è veder cantare il tenore in jeans o in calzamaglia e quindi non si può non essere d’accordo con Mattioli nella suddivisione tra regia buona o cattiva. Spunti, approfondimenti e riflessioni sono fini, acuti e davvero interessanti. È un libro da leggere? Decisamente sì!



