Ha senso adattare l’Opera lirica al contemporaneo?

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Alberto Veronesi

Come si è già avuto modo di dire da queste colonne, il caldo di questa estate ha indispettito diverse menti, specialmente in ambito musicale. Ha fatto scalpore, tra le altre cose, l’atteggiamento che ha tenuto Alberto Veronesi nel dirigere Bohème al festival pucciniano di Torre del lago. Cosa sia successo è presto detto: il maestro, in polemica con l’allestimento, ha pensato di dirigere l’opera con una benda calata sugli occhi in modo da non essere costretto a vedere lo scempio registico sul palcoscenico.

Ha fatto bene? Per la riuscita dello spettacolo sicuramente no, per quanto riguarda l’aspetto pubblicitario, assolutamente sì. Al di là di questo, che comunque lascia davvero il tempo che trova, riemerge ancora la questione della regia. L’eterna battaglia tra gli avanguardisti e i passatisti. Per imbastire un ragionamento su questo tema bisogna partire dal presupposto che l’opera d’arte deve parlare al fruitore, su questo non ci piove. Il busillis è, quindi, parlare alla contemporaneità. Quindi ci si chiede se un’opera sbocciata nella mente di uomini di cento, duecento, trecento e più anni fa debba essere in qualche modo modificata per essere più facilmente comprensibile al pubblico odierno.

Non c’è una risposta giusta a questo quesito, bisogna capire quali siano le opere nelle quali è possibile e sensato ideare un’attualizzazione nell’ambientazione e quali siano invece i titoli nei quali sia opportuno mantenere inalterato il tutto. Ci sono vicende atemporali, titoli come Così fan tutte o Il barbiere di Siviglia, che si prestano a una “manomissione intelligente”, mentre quelle con una chiara definizione temporale, per esempio Bohème o Tosca, soffrono terribilmente poiché lo stridore tra il testo letterario-musicale e il visibile non produce altro che una cacofonia intellettuale.

C’è, inoltre, la questione della semplificazione. Il pubblico è sempre meno invogliato a pensare, abituato dall’intrattenimento di massa a ottenere facili stimoli, trattato nella migliore delle ipotesi come un bizzoso adolescente incapace di gestire una poetica più complessa del trittico sole-cuore-amore. Stranamente, però, questo genere di attualizzazione si applica soltanto al teatro, in special modo al teatro d’opera. Sarebbe curioso vedere cosa accadrebbe se al David di Michelangelo, magari proprio posto su un contrafforte di Santa Maria del Fiore, aggiungessero un mitra e una bella cresta variopinta. 

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