Il tributo a Gershwin di Pietro Beltrani

George Gershwin
Fin dal Medioevo la musica è stata composta non (solo) per chi ascoltava, ma (anche e, forse, soprattutto) per chi la eseguiva. Ecco perché non era raro imbattersi in giochi compositivi visuali che, all’ascoltatore rimanevano celati, mentre venivano compresi e goduti dall’esecutore.
Nel corso della storia, poi, la cultura musicale era considerata come indispensabile (inutile dire o tempora, o mores, vero?) per le persone di rango elevato, ma, in realtà, lo diventava anche per i ceti meno abbienti. C’è da considerare, per esempio, che non c’erano né dischi né, tantomeno, assistenti vocali pronti a riprodurre le musiche più in voga e tutti, indistintamente, erano letteralmente obbligati a suonare o a trovare qualcuno che lo facesse in loro vece. Ecco che, quindi, si è creata e ampliata una forbice tra esecutori e pubblico che ha reso i secondi sempre più alla mercé dei primi, sia per la proposta musicale, sia per l’interpretazione.

Se per la prima c’è, tuttora, qualche possibilità (grazie anche alla vasta offerta), per la seconda non c’è più scampo e, anzi, nell’epoca della riproducibilità dell’opera d’arte assistiamo a una omologazione in tal senso. Per fortuna esistono delle eccezioni e a queste appartiene il disco appena uscito per Da Vinci Classics che vede il pianista lughese d’adozione Pietro Beltrani cimentarsi in un vero tributo a un colosso quale è George Gershwin.

Tutto il disco è circonfuso dalla impeccabile pulizia tecnica che il musicista imolese sfoggia con grande maestria in tutte le quattordici tracce che compongono il disco. Interessanti gli arrangiamenti delle Ten songs, elaborati da Beltrani stesso, che rivestono di una luce virtuosistica i temi più celebri composti dal musicista di Brooklyn. Notevoli anche i Three preludes che riconducono a una dimensione cameristica l’orecchio dell’ascoltatore che viene accolto dalla celeberrima Rhapsody in Blue. Insieme al pianista suonano l’Orchestra Senzaspine e il Beltrani Modern Piano Trio. Al netto di qualche lieve imprecisione d’intonazione non riconducibile alle blue notes, si può dire senza tema che questo disco sia molto piacevole all’ascolto, anche se, visto il genere, non sarebbe stata mal accolta una leggera vena dionisiaca, apparentemente epurata in favore di una più netta percezione della struttura sottesa all’idea musicale.
Ma, come si diceva poc’anzi, alla fine è l’interpretazione dell’esecutore che vincola le orecchie del pubblico.

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