mercoledì
15 Ottobre 2025

La fine del suono, nel presente assente di Burial

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Antidawn BurialBurial – Antidawn EP (Hyperdub, 2022)
Un viaggio sfiancante. È listato come EP, extended play, un concetto del mondo fisico a cui il disco peraltro non risponde (dura 43 minuti). Sembra quasi che voglia identificare se stesso come un’opera minore, un disco fatto con la mano sinistra: “non sono il nuovo disco di Burial, non rompetemi le palle”. Un atteggiamento che a Burial conosciamo bene, purtroppo o per fortuna: è dai tempi di Untrue (anno di grazia 2007, secondo Simon Reynolds il più importante album di elettronica di questo secolo) che Burial non si prende il disturbo di metter mano a un disco vero e proprio, spendendosi poco-e-male in uscite ai margini della discografia.

Prendiamo Antidawn. Neanche una batteria, tanto per cominciare: nessun beat in tutto il disco. Strutture scheletriche che girano continuamente su se stesse in cui elementi caratteristici del produttore (melodie malinconiche sfilacciate, rumori di fondo, fruscii simil-analogici, microsuoni, tastiere scheletriche) sono costrette ad eterni ritorni lentissimi ed emotivamente sfibranti, come un album difettoso che suona per un minuto e poi salta all’inizio, e poi un minuto e mezzo e risalta all’inizio, e via così.

Molti tifosi di Burial hanno odiato il disco, o non l’hanno ritenuto degno della loro attenzione. Cos’è rimasto del raver impalpabile cantato da Mark Fisher nelle sue migliori pagine? Difficile a dirsi. Forse niente. O forse tutto, a seconda dei punti di vista. Condannati ad esistere forzatamente nel tempo e nello spazio di Antidawn, azzardiamo un’altra chiave di lettura, probabilmente stupida o arrogante o semplicemente sbagliata, secondo cui il disco e la musica di Burial in generale possono essere consumate come un unico grande work-in-progress della sparizione del suono nel nostro tempo.

In un universo estetico che concedeva grandezza musicale a Burial ed Untrue perché erano ancora costretti a rapportarsi con il mondo, cosa che il Burial odierno non è più costretto a fare, o forse è costretto a non-fare. In questo senso è ragionevole non solo pensare a un futuro in cui ricorderemo i timidi tentativi kraut alla fine di “New Love” come espressioni di massimalismo smargiasso, ma ci ritroveremo a pensare Antidawn come l’inizio di una fase di autocritica a cui forse Burial, dopo aver finito con se stesso, costringerà la musica e poi il mondo.

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