sabato
18 Ottobre 2025

La questione del contrappasso

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Black Eyes – Hostile Design (2025 Dischord)
Ne ho già scritto ma una parte del piacere di tenere questo spazio è dovuta al fatto che i miei pezzi si alternano con quelli di Enrico Gramigna, musicista e musicologo, che si occupa di musica classica con un rigore di pensiero e di linguaggio a cui non posso più nemmeno aspirare. E insomma, sapere che Enrico inquadrerà con una certa precisione la questione in seno al dibattito su Beatrice Venezi e la Fenice di Venezia non solo mi dà qualcosa di sensato da leggere, ma in qualche modo mi spinge a concentrare la mia attenzione su cose che non c’entrino assolutamente nulla con le cose di cui parla lui.

È lo stesso meccanismo psicologico che sta all’origine di molti fenomeni tra quelli che definiscono gli ascolti quotidiani di molti di noi – o comunque i miei. Ad esempio ci sono volte che torno da una serata generica in spiaggia in cui magari hanno passato musica bella ma tutta da ballare, e magari reggaeton o groove italiani contemporanei, e provo l’impulso irrefrenabile di mettere sul lettore i dischi di folksinger depressi, quieti e possibilmente morti in circostanze orribili (Luigi Tenco, Townes Van Zandt, Jason Molina, robe così): l’energia negativa serve a riequilibrare la situazione. Ok, insomma, il fatto che questa settimana parlerò del disco dei Black Eyes dipende in parte da questa idea di contrappasso (i Black Eyes sono letteralmente la cosa più lontana dalla musica classica che sia mai esistita) e in parte dal fatto che con ogni probabilità il loro nuovo disco sarà il numero uno nella mia classifica di fine anno.

I Black Eyes sono un gruppo di Washington DC, escono su Dischord e hanno goduto di un minuscolo hype vent’anni fa, in quanto imparentabili al cosiddetto punk-funk che andava di moda in quegli anni (The Rapture, !!!, primissimi LCD Soundsystem, eccetera). La loro musica era una versione per adulti di tutta la faccenda, poco funk e molto punk. Il loro primo disco manteneva un briciolo di attinenza con la definizione, il secondo era una specie di opera freejazz con le chitarre (un po’ stile Pop Group). Si sono sciolti poco dopo averlo pubblicato, si sono riformati per celebrare il ventennale della band e hanno anche registrato un album. Un capolavoro di mezz’ora scarsa, urlato dall’inizio alla fine, sporcato di funk e reggae, dissonante, stortissimo e – direi – orgiastico. BeatriceVenezi-punk.

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