venerdì
10 Ottobre 2025

Sui 25 anni di “Kid A”

Condividi

Radiohead – Kid A (Parlophone, 2000)
Compro la mia copia di Kid A nell’ottobre del 2000, nei giorni immediatamente successivi all’uscita del disco. Lo compro a scatola chiusa, sull’onda emotiva di una serie di recensioni festanti e della coscienza del fatto che OK Computer è diventato, negli ultimi anni, uno dei miei dischi preferiti. L’elettricità che gira nell’aria all’uscita del disco è di quelle che nella mia vita ho percepito per l’uscita di pochi album. Si parla già di un disco che cambierà per sempre la musica, che renderà il pop una cosa diversa da quel che è sempre stato, eccetera. Decido che sono tutte idiozie mezz’oretta dopo aver pigiato play nel disco, il quale è esattamente come veniva descritto nelle recensioni che avevo letto: un tentativo di abbandonare definitivamente il rock e abbracciare l’elettronica di quegli anni, quella di etichette come Mo’Wax o Warp, a seconda di cosa vi piacesse ascoltare. Un tentativo malriuscito, mi è sempre sembrato evidente: niente di quello che sto ascoltando, pensai, mi sta facendo provare le sensazioni che provo quando ascolto Aphex Twin o Dj Shadow.

E nel giro complesso di togliere e mettere che i Radiohead hanno messo in piedi per realizzare il disco, a quanto pare è rimasta fuori l’unica roba che li distingueva davvero dal resto dei gruppi del loro giro (le canzoni). Ma quello che mi ha sempre infastidito del disco è che ogni secondo della musica che ci sta dentro sembra essere realizzato da una band che voleva soprattutto far vedere al mondo che era superiore al giro che si era creata intorno a lei, che con le folle di fan adoranti e ubriachi ai concerti non ci volevano avere a che fare, e che pur di togliersele di dosso avrebbero abbracciato con gioia le accuse di snobismo. Così li ho archiviati in un angolo del cervello, li ho derubricati a un bluff e ho deciso di non perderci troppo tempo. Non ha funzionato. Ho comprato tutti i dischi che hanno fatto dopo Kid A, e ho continuato ad ascoltare Kid A, e col tempo ho imparato perfino ad apprezzarne certi momenti. Continuo a parlarne come di un bluff e di un disco assolutamente odioso, sopravvalutato, triste e forse perfino dannoso per la cultura contemporanea. Ma continuo anche a riascoltarlo di quando in quando, come se mi sentissi di dovergli dare un’altra possibilità – l’ennesima. Anche ieri, quando ho scoperto che era il venticinquesimo anniversario del disco. Non so. Però.

Condividi
CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

Si parla di “estetica” e di “paesaggio urbano” alla conferenza di Reclam

Alla Original Parquet di Alfonsine con la professoressa Elisabetta Di Stefano e l'architetto Antonio Ravalli

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi