Brasile-Italia, andata e ritorno in tre generazioni: Josè, Marlene e Debora

Marlene E Debora Fantinidi Matteo Cavezzali

Questa storia inizia (ma forse è iniziata molto prima) nel 1907. Un ragazzo mette in una valigia di cartone le sue quattro cose, bacia i genitori e parte. Lascia un paesino del nord Italia alla volta del nuovo mondo, il Brasile, San Paolo. Ha paura, come farà a capire quello che dicono gli altri, lui che non sa una parola di portoghese? Sale su una nave stipata, non ha mai visto tante persone tutte assieme.
Il ragazzo si chiama Giuseppe Vincenti, quando sbarca capisce che se vuole integrarsi è meglio prendere un nome che suoni familiare e allora dice in giro di chiamarsi José.
«Un italiano che si chiama Josè?». «Sono metà italiano e metà portoghese», bluffa, e il trucco funziona, quel nome gli porta fortuna e trova da lavorare in una piantagione di caffè, per poi trasferirsi a Manus. Il Brasile per lui è un mondo all’avanguardia e ricco. Trova carne a buon mercato e si abbuffa a tal punto che si sente male e devono chiamare un medico.
«Da quanto non mangiava carne?», gli chiede il dottore. «Tre, forse quattro anni». «Deve andarci piano, ragazzo! Sa che poteva anche rimanerci secco!», gli dice in italiano. È pieno di italiani il Brasile, di navi come la sua ne sono già arrivate altre dieci prima della sua nel solo 1907.
«Sarà rimasto qualcuno in Italia?», si chiede.

Questa storia continua nel 1989. Una ragazza mette in valigia le cose che ha, bacia i genitori, e parte. La ragazza si chiama Marlene. Ha un nome tedesco perché il padre aveva una passione per l’attrice Marlene Dietrich di cui custodiva gelosamente una foto autografata, con grande gelosia della moglie che avrebbe voluto le fantasie del marito solo per sé. Marlene si sarebbe dovuta chiamare Maria Helena, ma quando il padre tornò dall’anagrafe nel documento c’era scritto Marlene. La moglie andò su tutte le furie, ma lui spiegò che “Maria Helena” era un nome troppo lungo e all’ufficio anagrafe l’impiegata lo aveva sintetizzato in “Mar’lene”. Lei non se la bevve, ma ormai era andata e la piccola ormai era Marlene.

Nel 1989 Marlene ha poco più di venti anni, studia da fashion designer, e ha vinto una borsa di studio grazie ai disegni di abiti che fa per passione. Ha ottenuto uno stage a “Vogue”, la prestigiosa rivista di moda. Il lavoro doveva essere a Parigi, ma alla fine “Vogue” la devia in Italia. Così Marlene bacia nonno José e torna in Italia, dopo due generazioni.
Terminato lo stage, Marlene deve tornare a San Paolo, ma in una gita a Ravenna si innamora e non tornerà più.

Questa storia finisce (ma continuerà) nel 2017. Una ragazza prepara la valigia, bacia la madre, e parte. La ragazza si chiama Debora Fantini, ha 23 anni ed è stata chiamata a lavorare come modella a Londra. Debora è bella, di una bellezza fuori dal comune, di quel tipo di bellezza che lascia stordito chi la guarda, come se si trovasse davanti a un piccolo miracolo. Ha un viso, uno sguardo, un portamento che non può lasciare indifferenti, proprio come Marlene Dietrich.

Debora gira il mondo per fare foto, girare spot pubblicitari e video clip. Va in Germania, Turchia, India, Grecia, Spagna, Inghilterra, Bali: «È una vita molto solitaria, sempre in luoghi diversi, ma non c’è città in cui incontri anche degli italiani e allora mi sento meno sola».
«Gli italiani sono ovunque», dice mamma Marlene, «una volta mi sono spinta nel cuore dell’Amazzonia a cercare una popolazione indigena che viveva fuori dal mondo civilizzato e quando sono arrivata ho trovato un antropologo italiano che viveva con loro da due anni!».

Debora è ghiotta di cappelletti e brigadeiro – i dolcetti tipici brasiliani -, e da bambina andava in Brasile dai parenti quasi ogni anno. «Essere metà italiana e metà brasiliana è stata la mia fortuna. È una cosa che incuriosisce e affascina».
La sua fama sta continuando a crescere mese dopo mese e oggi sono più i suoi follower su Instagram che gli abitanti del paesino da cui partì il suo bisnonno Giuseppe un secolo fa per cercare fortuna in Brasile.
Mamma Marlene fa la sarta e ha un negozio a Ravenna, in via P. Matteucci, si chiama semplicemente “L’atelier”. Crea i suoi vestiti, ripara abiti, e tiene corsi di cucito, intanto che la “piccola” Debora gira il mondo.

«All’inizio mamma mi faceva da guardia del corpo», sorride Debora. «Mi seguiva ai casting. Voleva vedere con chi avevo a che fare». Marlene spiega: «Non si sa mai chi si può incontrare. Ma ora Debora ha imparato di chi fidarsi e di chi no, e come porsi con le persone. La gente con cattive intenzioni studiano la preda e vedono se è una gazzella o un leone, e io le ho insegnato a essere leone».
Debora ha fatto il liceo artistico a Ravenna e sognava di diventate una grafica pubblicitaria, poi quasi per caso è nata questa avventura che poi le ha preso la mano. Un po’ per caso come era successo a sua madre quando arrivò in Italia o al bis-nonno quando arrivò in Brasile. «La vita bisogna seguirla» dice mamma Marlene «non sai dove ti porterà, ma devi seguire quello che ti succede, nessuno può prevedere dove ti porterà».

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