Le orme inutili del camminatore o del Progetto Escursionistico “Sentiero degli Dei”

Battaglio con tutte le orchesse
che in forme sottili si invischiano
nel pensiero ed è il silenzio a lavare
le strisce di tutte le lumache
le orme inutili del camminatore
è il silenzio che incendia le capigliature
e più dentro mette il seme e il seme.
È il silenzio la lezione più grande.
(MARIANGELA GUALTIERI)

Da questi versi di Mariangela Gualtieri prendo le mosse per una breve e disordinata riflessione in merito all’identità e al fine del Progetto SdD, da me fondato nel gennaio 2011, e di cui questa Londra-Gerusalemme imminente rappresenta il culmine pratico, ideologico, estetico.

Il camminare si configura come pratica cognitiva dagli albori della Preistoria alle più recenti esperienze d’avanguardia come Dada e il Surrealismo, il metodo privilegiato di relazione fra il soggetto e l’ambiente che lo circonda, in un reciproco processo di svelamento. Addirittura, riferendosi a certe traiettorie proprie della Land Art, il cammino diventa vera e propria pratica estetica, assieme concreta e transitoria, un fare dell’arte che si esaurisce nell’arco di un passo ma che vive di risonanze nella memoria e nell’esperienza, ora singola ora collettiva.

Il cammino come performance, dunque, come recinto in continua espansione dentro il quale esprimere la propria visione, per costruire un prodotto artistico estremamente fluido, articolato, affatto inquadrabile in ogni sua sfaccettatura. Un’opera aperta, fatta di passi, sensazioni, emozioni ed esperienze; questo è per me il Progetto SdD: un’unica, discontinua e dilatata performance che verte sul cammino e sul coinvolgimento di compagni di viaggio per la costruzione di un microcosmo narrativo, fatto di esperienze soggettive e condivisione, fotografie, video, racconti, senza che nessuno di questi elementi esaurisca in sé la portata complessiva (e inafferrabile) del Progetto. Il cammino come dimenticanza, discrezione e transitorietà; il camminatore va, lascia orme (le orme inutili, riprendendo la Gualtieri) che svaniscono in poco tempo, e il mondo si richiude come una ferita ansiosa dietro le sue spalle, pronto ad un nuovo attraversamento. Il mondo perdurerà al di fuori del nostro passo, del nostro personalissimo svelamento, intatto e vergine agli occhi di chi seguirà a noi, più o meno iconsapevole della storia umana impalpabile che impregna i sentieri e le strade.

Il cammino è così assimilabile ai mandala tibetani, i diagrammi circolari composti di diverse figure geometriche costruiti con sabbia colorata, che simboleggiano il processo mediante cui il cosmo si è formato a partire dal suo centro; per il monaco dunque, la rappresentazione di questo processo è occasione di viaggio interiore e profonda scoperta di sé, cioè di iniziazione. Il mandala, dopo qualche tempo, viene disperso, a ricordare la caducità di tutte cose e la rinascita sotto nuove forme. Noterete allora le affinità con il cammino, pratica di crescita e di confronto destinata ad esaurirsi e ricrearsi al passaggio del viaggiatore. Anzi, di più: la dimenticanza diventa quasi il valore principe dell’andare a piedi, così come nell’iniziazione del mandala decisiva è la dispersione della sabbia e quindi della forma che tanto si è faticato a tracciare. Camminare per dimenticare, dimenticarsi ed essere dimenticati, diventare consapevoli del tempo e dello spazio che ci sovrastano, inesorabili.

Camminare per dare forma, per simboleggiare il processo di dimenticanza e poi disperdere tutto, una volta spenti i passi alla fine del viaggio. Quello che cova nell’ombra alla fine di ogni viaggio e ogni fatica è la consapevolezza di avere dato tutto per l’attraversamento lungo una traccia già scomparsa, riassorbita, il cui accenno sbiadito sopravvive nella nostra memoria. Mi vengono in mente le parole con cui Pupi Avati chiude magistralmente il suo bellissimo ”Una gita scolastica”, in cui un’anziana donna ripercorre poco prima di morire un antico viaggio da lei affrontato a piedi con i compagni di scuola all’inizio del novecento:

Laura fu l’ultima a partire, una mattina dell’estate dell’altr’anno. Fu l’ultima a partire, e attraversò boschi e risalì sentieri, prima di raggiungere gli altri. Poi, finalmente, furono tutti nuovamente assieme, e seppero che non mancava nessuno. Nessuno era rimasto indietro a ricordare. Così quella loro gita poteva essere dimenticata per sempre.

 

 

 

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