Addio a Roky Erickson, alieno del rock psichedelico

13th Floor ElevatorsMentre il Ravenna Festival omaggia meritoriamente un genio fuori dagli schemi come Syd Barrett – celebrando la prima parte di carriera, quella più avventurosa, dei Pink Floyd – nell’indifferenza (o quasi) dei social è morto a 71 anni l’altro grande folle di quegli anni, il texano Roky Erickson. Tra i pochi che davvero meriterebbero di essere ricordati con pagine e pagine di giornali.

Fu il fondatore dei 13th Floor Elevators e di conseguenza uno dei nomi più importanti del rock psichedelico americano e di conseguenza tra i più grandi del rock tutto. Nonostante una carriera suo malgrado, di fatto, brevissima. Così come ben intuibile dall’ascolto, ancora oggi, del suo capolavoro (il debutto di The Psychedelic Sounds of the 13th Floor Elevators, anno 1966, dalla copertina mai così psichedelica e che vanta innumerevoli tentativi di imitazione), la musica di Erickson era come se arrivasse da universi paralleli, dichiaratamente scritta per comunicare con altri mondi e più semplicemente composta sotto l’effetto di droghe allucinogene. Droghe che hanno condizionato anche l’intera vita di Erickson, che in quegli anni evitò il carcere per uno spinello fingendosi matto per poi impazzire davvero a furia di cure a base di elettroshock e torazina nei vari ospedali psichiatrici in cui fu rinchiuso.

Tra deliri di schizofrenia, linguaggi sconosciuti (a un certo punto pare parlasse il “gibberish”) e la convinzione di essere in contatto con i marziani, negli anni settanta la carriera di Erickson era praticamente già finita, nonostante sia poi in realtà proseguita con altri progetti, senza particolari colpi di coda, in maniera defilata, con anni e anni di pausa forzata a causa del suo stato di salute, fino all’emozionante reunion degli Elevators di qualche anno fa a chiudere un enorme cerchio.

Nel mezzo, oggi è quasi commovente riascoltare – nonostante non sia affatto un capolavoro – l’ultima sua incisione, di ormai nove anni fa: True love cast out all evil, album di inediti che è una sorta di autobiografia, con tanto di pezzi composti anche negli ospedali psichiatrici, realizzato grazie al supporto di una backing band d’eccezione, i “compaesani” Okkervil River. A cui lasciamo l’epitaffio. «Roky – ha scritto il leader della band su Instagram il giorno della sua morte – è stato la più bella persona che abbia mai conosciuto e forse la più brillante. Ha cambiato la mia visione della musica e del mondo, ridandomi fiducia verso entrambi. Non ci sarà mai più un altro come lui».
Amen.

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